sabato 20 marzo 2010

Scene di ordinaria follia

NB: I fatti narrati sono realmente accaduti, qualche settimana fa.

Metropolitana di Milano. Linea 1. La rossa. 18.30.
Un braccio appeso al tubo. Dall’altra manica spunta un libro. La postura ormai pilates-resistente mi costringe la faccia dentro le pagine. Isolamento. Tranquillità.
Leggo “Servi. Il paese sommerso dei clandestini al lavoro” di Marco Rovelli…bello, intenso, vero!
Cordusio, fermata Cordusio.
Dice la signorina (signora?) registrata.
Le porte si chiudono. Le porte si aprono.
Cordusio, fermata Cordusio. Insiste la voce.
Le porte si chiudono. Le porte si aprono.
Cordusio, fermata Cordusio. Eccheccazzo!
Guasto al vagone. Tutti giù. Tra sbuffi contenuti e imprecazioni liberate ci troviamo tutti sulla banchina. Migliaia e migliaia di persone. Penso io. Qualche decina. Secondo la questura.
Inizia la sagra della saracca.
Arriva un altro treno. Si ferma. Le porte sputano fuori ammassi di gente. Niente da fare. Non si sale. Passano altri-tre-treni (tutti-e-trentatrè-trotterellando) prima che la gente in attesa riesca a metterci piede dentro.
Accanto a me saltano rosari.
Finalmente si sale. Spazio minimo. Spingono tutti come dannati.
Tensione. Stress dopo-lavoro. Tutti pronti a scattare per nulla.
“Al mio segnale scatenate l’inferno!”.
Ma questa volta non mi avranno. Mi ricavo una nicchia. Stretto tra i corpi.
E leggo.
Leggo di Mehedi dal Bangladesh:
[…] Tu abiti a Corvetto, e quando il lavoro finisce, con la metropolitana ormai chiusa, per tornarci devi prendere il 27 fino al Duomo, e l’ultimo parte all’una e un quarto di notte. Quando finisci all’una non ce la fai […] hai provato a chiedere di farti uscire mezz’ora prima “Fai come vuoi …però non ci vediamo più. Così per tornare a casa ti tocca camminare più di due ore, e per dormire te ne restano meno di tre. Anche perché la mattina devi essere lì alle sette per cominciare alle otto, ché se arrivi dopo magari hanno già assegnato le cose da fare e non c’è più posto. Allora spesso preferisci restare a dormire su una panchina del magazzino. Non sul divanetto dell’ufficio, figurarsi, quello rimane chiuso […]
Alzo lo sguardo. Un ragazzo e una sciura litigano. Lei è appena inciampata sul di lui zaino.
Li guardo.
Sorrido.
Continuo a leggere…

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