martedì 25 dicembre 2007

Partenze

Gente che va, gente che viene.
Aspettando gli arrivi di gennaio, rinforzi fisici e morali, in questi giorni tante partenze, molto aeroporto, qualche lacrima.
Un saluto particolare a Sara e Giorgio. Questo è stato il mio regalo per lui...



25.12.07 Auguri!!



lunedì 24 dicembre 2007

23.12.07 Bolinhas de Beringela

Seconda puntata della Rubrica "Se ci riusciamo noi...". Grazie Cri!!

Bolinhas de Beringela
(Polpettine di melanzana)



Ingredienti
per 8 persone :
5/6 melanzane
3/4 cucchiai di parmigiano grattugiato (noi non l'avevamo)
basilico tritato
pangrattato
farina bianca
olio x friggere
2 uova intere

Preparazione:
Bollire le melanzane tagliate a pezzi grossi con la buccia per 20 minuti. Quando saranno cotte, lasciarle raffreddare e strizzarle molto bene. Si possono tagliare a quadrettini o tritare. Aggiungere le uova intere (prima sbattute con sale e pepe), il basilico, il formaggio e il pangrattato quanto basta per fare un impasto consistente. Fare delle palline e passarle nella farina, friggere nell'olio bollente e asciugare sulla carta da cucina.

mercoledì 12 dicembre 2007

12.12.07 Vertice di Lisbona 6 (L'ultimo lo giuro!)

Troppo spazio a Mugabe e poco allo Zimbabwe
Tomas Salazao (Sadc)
«Lo Zimbabwe non era in agenda. E' stato sollevato un polverone per nulla». Segretario generale della Southern african devolopment community (Sadc), l'organizzazione regionale che riunisce 14 paesi dell'Africa australe, il mozambicano Tomas Salazao è insorto contro l'eccessivo spazio dato al caso Mugabe nel corso del summit.
Mugabe e lo Zimbabwe sono stati al centro dell'attenzione a Lisbona...
La questione dello Zimbabwe non era in agenda in questo vertice e ha avuto uno spazio eccessivo, con una visione peraltro piuttosto unilaterale. Molti dei partecipanti al summit che hanno criticato la situazione nello Zimbabwe non hanno l'autorità morale per dire agli africani cosa sia giusto fare o non fare. Il problema dello Zimbabwe noi del Sadc lo affrontiamo da anni cercando una via d'uscita che non sia imposta dall'esterno. Saranno gli zimbabwani, con l'aiuto della Sadc e del presidente sudafricano Thabo Mbeki, a trovare una soluzione.
Che giudizio complessivo dà del vertice?

Positivo perché ci ha permesso di confrontare i nostri rispettivi punti di vista, ma non dobbiamo né possiamo dimenticare la storia: in questa vertice da una parte sedevano i colonizzati, dall'altra i colonizzatori. L'incontro ha creato le condizioni per un riavvicinamento tra questi due blocchi, per la creazione di un nuovo partenariato, il cui sviluppo è difficile ma certo non impossibile.
Ritiene che gli Epa siano un buon punto di partenza per questa nuova partnership?

Europa e Asia sono a due diversi stadi di sviluppo. Senza sviluppo delle infrastrutture gli Accordi di partenariato economico non aiutano l'Africa a superare i problemi, non potremmo mai ridurre i costi di produzione ed essere competitivi. L'Europa dovrebbe capirlo invece di fare pressione per ottenere la firma di più paesi possibile alla sua politica. Guardiamo all'area della Sadc: alcuni stati hanno iniziato un accordo, altri no. Noi diciamo all'Ue: invece di dividere la comunità economica regionale, sediamoci intorno a un tavolo e cerchiamo una soluzione concertata e accettata da tutti.


Il magro bilancio di Lisbona
Il vertice Africa-Unione europea si è concluso con pochi risultati.
I leader di 53 paesi africani e di 27 stati europei si sono incontrati a Lisbona per un vertice di due giorni, oscurato dalla presenza del contestato presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe. La presenza di Mugabe ha indotto il premier britannico Gordon Brown a boicottare l'incontro.
Il quotidiano spagnolo El País traccia un bilancio poco lusinghiero dell'incontro: "Il vertice di Lisbona si è concluso con grandi parole e poca sostanza, un risultato inevitabile quando gli interlocutori – in questo caso il blocco economico più forte del mondo e quello più povero – non si incontrano da sette anni".
"Le relazioni tra Europa e Africa sono tormentate, dettate da un passato turbolento e da un presente segnato da diseguaglianza, immigrazione, conflitti armati e crisi umanitarie. Le parti fanno fatica a parlarsi".
Il britannico The Guardian richiama l'attenzione sullo scontro Londra-Harare che ha monopolizzato l'attenzione al vertice: "Fa male ai laburisti vedersi estromessi da un vertice per colpa di un politico, Robert Mugabe, che in passato hanno aiutato. Ma è chiaro che vedere un'ex colonia che imbarazza la Gran Bretagna avrà fatto piacere a molti".
The Independent tira le fila della vicenda sottolineando che la Cina si sta sostituendo all'Europa come partner commerciale e politico privilegiato dei paesi africani: "L'ombra della Cina sull'Africa s'ingrandisce ogni giorno. Negli ultimi anni, Pechino ha quintuplicato gli scambi commerciali con l'Africa e, a differenza di molti paesi europei, la sua diplomazia non si ferma davanti a violazioni dei diritti umani o alla mancanza di democrazia".

martedì 11 dicembre 2007

11.12.07 Vertice di Lisbona 5

L'Africa non si piega all'Unione europea
Il summit euro-africano a Lisbona misura la frattura: i leader africani chiedono rispetto e autonomia, gli europei solo accordi commerciali. In mezzo un alibi di nome Mugabe
Stefano Liberti
Inviato a Lisbona

«Un summit tra pari». Con questa dichiarazione di intenti, che suonava come excusatio non petita, il premier portoghese José Socrates ha aperto ieri mattina i lavori del summit euro-africano di Lisbona. Orientato a creare una «nuova partnership strategica» tra i due continenti, secondo le parole altisonanti di vari responsabili europei (dal presidente della Commissione José Manuel Barroso al commissario allo sviluppo Louis Michel), il vertice ha visto sfilare ieri nelle sessioni plenarie più di 70 capi di stato e di governo, che si sono confrontati e scontrati su diversi temi, dall'immigrazione al cambiamento climatico, dalla sicurezza ai famigerati Accordi di partenariato economico (Epa), di cui la Commissione chiede ai paesi africani la firma entro il 31 dicembre. Fra i leader, inavvicinabile alle telecamere e ai giornalisti, anche Robert Mugabe, l'83enne capo di stato dello Zimbabwe la cui presenza aveva messo in forse fino all'ultimo la tenuta del vertice. Mugabe è stato invitato, nonostante la minaccia di boicottaggio da parte della Gran Bretagna, che ha un contenzioso aperto con Harare dal 2001, quando il leader zimbabwano ha espropriato le proprietà dei farmer bianchi del paese. Londra ha incassato la sconfitta diplomatica inviando una delegazione di profilo bassissimo, guidata da una rappresentante della Camera dei lord. Mugabe, dal canto suo, finora non si è fatto notare, anche se la sua ombra è planata pesantemente sul vertice, scavando una profonda distanza tra gli europei (che, con la relazione della cancelliera tedesca Angela Merkel, hanno condannato la «situazione dei diritti umani in Zimbabwe, che nuoce all'immagine di una nuova Africa») e i leader africani (che considerano in grande maggioranza il caso Zimbabwe un problema bilaterale tra Harare e Londra). Ma la distanza non si è misurata solo rispetto al caso Mugabe. In diversi interventi, i leader africani hanno voluto affermare la propria autonomia e rivendicare un ruolo per il continente che non deve essere necessariamente quello auspicato dagli europei. Così il presidente della commissione dell'Unione Africana, Alpha Oumar Konaré, ha insistito in un discorso appassionato sul fatto che «l'Africa non ha bisogno di elemosina, ma di una partnership seria». Ha poi elencato in modo puntiglioso tutti i vertici bilaterali a cui l'Unione africana ha partecipato nell'ultimo anno o parteciperà nei prossimi mesi (da quello iper-mediatizzato di Pechino del novembre 2006 a quello Africa-America Latina di Caracas, a quello Africa-Giappone nel 2008, a quello Africa-India, a un altro ancora Africa-Oceania), in modo da far capire ai leader del Vecchio continente che, se rimangono nel complesso i principali partner commerciali dell'Africa, gli africani non hanno problemi né difficoltà a rivolgersi altrove. Konaré ha saputo toccare un tema a cui gli europei sono abbastanza sensibili: non è un segreto per nessuno che il summit, rimandato per anni proprio sul caso Zimbabwe, quest'anno si sia tenuto perché l'Europa non vuole perdere ulteriore terreno di fronte alla tumultuosa avanzata della Cina. L'ex presidente maliano ha poi concluso il suo discorso lanciando un'ultima frecciata agli ospiti europei e rivendicando un modello di sviluppo africano, «che non deve essere basato sulla rincorsa di modelli esterni».Un punto ripreso, sia pur in toni estremamente diplomatici, dal presidente del Ghana John Kufuor: «Per 500 anni - ha detto il presidente di turno dell'Unione Africana - le relazioni tra i nostri due continenti non sono state felici. Questo vertice è importante per correggere queste ingiustizie della storia». Di ingiustizie della storia aveva parlato già il giorno prima il leader libico Muammar Gheddafi che, in una conferenza all'università, aveva sollevato il problema degli indennizzi coloniali. «Le ricchezze sottratte ai popoli colonizzati devono essere restituite», aveva affermato la guida della Jamahiriya. Ma l'elemento di maggior frizione tra i due blocchi sono stati proprio gli Accordi di partenariato economico, un aspetto su cui alcuni stati africani non vogliono transigere. «L'Ue deve capire che l'Africa non è d'accordo con gli Epa», ha dichiarato il presidente senegalese Abdoulaye Wade, che avrebbe anche avuto una diatriba in proposito in una sessione a porte chiuse con Barroso. «Gli africani sanno bene che non possono costituire una zona di libero scambio paritaria con l'Unione europea. Bisogna essere realisti e capire che esiste un'asimmetria di fondo tra le due regioni», ha aggiunto. Le sue parole hanno riecheggiato quelle pronunciate in mattinata da Konaré, che ha denunciato il forcing degli europei nei negoziati ed esortato a «prendere il tempo necessario per concludere accordi giusti e rassicuranti».


La corsa della Cina

Se l'Unione Europea, nel suo complesso, rimane il principale partner commerciale dell'Africa, l'avanzata cinese a sud del Mediterraneo appare impetuosa, sia nei numeri che nella velocità.Nel 2006, circa 800 società cinesi hanno investito un miliardo di dollari in Africa stabilendo 480 joint-ventures. Circa 82mila lavoratori cinesi sono stati recensiti in Africa solo l'anno scorso. Ultimo investimento in ordine di tempo, ma non di importanza, l'acquisto per 5,8 miliardi di dollari da parte di una banca cinese del 20 per cento della Standard Bank sudafricana, principale banca del continente. Il volume commerciale cinese in Africa (40 miliardi di dollari) è ancora indietro rispetto a quello dell'Ue (300 miliardi di euro), ma basta confrontare i dati di crescita per misurare l'ampiezza dell'avanzata di Pechino: dal 2000, l'Unione eruopea ha registrato un tasso di crescita degli scambi con l'Africa del 50 per cento, a fronte del 400 per cento della Cina. Secondo le previsioni di vari analisti, il commercio cinese in Africa dovrebbe raddoppiare e raggiungere i 100 miliardi di dollari entro la fine del decennio, rimanendo ancora indietro all'Ue nel suo complesso ma superando sia gli Stati uniti che la Francia e diventando quindi il primo partner commerciale nazionale. Le linee di credito aperte da Pechino, i prestiti a tasso agevolato, gli investimenti nelle infrastrutture, la strategia dell'«Oil-for-aid» (con cui offre denaro fresco in cambio di petrolio e altre materie prime), la non ingerenza negli affari interni, rendono Pechino un partner molto interessante per l'Africa. Oggi la Repubblica popolare importa un terzo del proprio greggio dall'Africa, acquisendo due terzi del petrolio estratto in Sudan e un quarto di quello prodotto in Angola. In entrambi questi paesi, come in molti altri, ha investito nelle infrastrutture, costruendo oleodotti e riparando strade e ferrovie. A favorire la Cina è anche la velocità delle sue decisioni: basti pensare che negli ultimi cinque anni ha firmato in Africa 40 accordi bilaterali di libero commercio. Senza contare che la crescita vertiginosa della Cina e il suo passato di paese in via di sviluppo la rendono un modello per molti paesi africani, che guardano invece con sospetto i paesi europei per gli antichi legami coloniali.



«Un partenariato che ci porta al baratro»

Nd
iogu Fall, presidente del Roppa, attacca gli accordi che l'Ue vuole imporre ai paesi Acp
Stefano Liberti
Inviato a Lisbona

«Se verranno firmati, gli Accordi di partenariato economico porteranno l'Africa sull'orlo del baratro». Non usa mezze parole Ndiogu Fall, presidente del Réseau des organisations paysannes et de producteurs de l'Afrique de l'Ouest (Roppa), combattiva associazione dell'Africa occidentale, in prima fila nella lotta contro gli Epa, quegli accordi di liberalizzazione che l'Europa vorrebbe firmare con i cosiddetti paesi Acp (Africa-Caraibi-Pacifico) entro il 31 dicembre. Lo incontriamo al controvertice alternativo, che si tiene alla Facoltà di Belle Arti, in cima a una collina che si affaccia sul Tago.
Perché siete contro gli Epa?
Siamo contro gli accordi di partenariato perché impongono ai nostri mercati una competizione che non saranno mai in grado di reggere; una competizione a tutto campo, sui servizi, sui prodotti agricoli, su una serie di settori vitali per le nostre economie. Noi non abbiamo dubbi: la firma eventuale degli Epa porta l'Africa verso la catastrofe.
Cosa pensa della proposta europea di una firma parziale di questi accordi, che riguardi solo alcuni settori?
Penso che la Commissione europea fa un discorso ipocrita. Dopo aver incassato i dubbi di vari paesi, parla ora di un accordo minimo, che non contempli i servizi. Tiene tuttavia ferma la necessità di liberalizzare il commercio, che per noi è il punto principale. Al massimo, propone di salvaguardare un numero definito di prodotti. Noi questo approccio lo respingiamo, anche perché è palesemente contraddittorio: l'Unione europea si è formata grazie a un formidabile processo di integrazione che è passato per una forte protezione dei propri mercati. E ora chiede a noi di svilupparci liberalizzando i nostri mercati.
Quindi voi opponete alla spinta liberalizzatrice dell'Ue una maggiore chiusura dei vostri mercati?
Noi non siamo per principio contro la liberalizzazione. Siamo per un approccio selettivo. Riteniamo che alcuni prodotti importanti per lo sviluppo debbano essere protetti, perché dalla loro produzione dipende l'esistenza di milioni di persone. Non possiamo permetterci la concorrenza dell'Ue su prodotti come le patate, il riso, altri beni ortofrutticoli. Su altri settori - le infrastrutture, il sistema sanitario, i trasporti - siamo disposti a discutere.
Se i paesi della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale (Cedeao) firmano gli Epa, quali conseguenze ci saranno?
In tal caso assisteranno alla rivolta delle loro popolazioni. Io ne sono certo: ci sarà una vera e propria insurrezione popolare. Il grado di sensibilizzazione su questi temi in Africa occidentale è molto elevato e i governanti lo sanno. Nella Cedeao ci sono 45 milioni di piccoli agricoltori. Immaginate se scendono tutti in piazza contro il governo.
Cosa pensa del vertice euro-africano che si tiene in questi giorni qui a Lisbona?
E' una grande farsa. L'Europa sostiene di voler stabilire una strategia agricola comune, ma in realtà vuole una cosa sola: la liberalizzazione dei mercati. Il commissario al commercio Peter Mandelson utilizza ogni mezzo in suo possesso per dividere gli africani, per spezzare il fronte comune che noi stiamo creando a partire da una sensibilizzazione dal basso. Questo vertice ha un unico obiettivo: distrarre le opinioni pubbliche, europea ed africana, dalle reali poste in gioco. Affermare di voler costruire una nuova partnership, imponendo al contempo accordi che porteranno l'Africa verso la catastrofe, è nulla più che una presa in giro.
Molti leader africani - tra cui il presidente senegalese Abdoulaye Wade e il presidente della commissione africana Alpha Oumar Konaré - si sono pronunciati contro gli Epa. Cosa pensate di queste esternazioni? Si sta creando un fronte comune tra governanti e società civili?
I governanti sono costretti ad ascoltarci. Wade sa benissimo che se firma gli Epa il giorno dopo Dakar è messa a ferro e fuoco. Le sue parole sono state sagge e noi le condividiamo: la firma degli Epa è in contrasto con gli interessi africani. Detto questo, noi non abbassiamo la guardia. La nostra fiducia nei confronti dei governanti resta limitata. Bisogna mantenere una pressione sociale alta per evitare che si facciano convincere dai negoziatori europei.

www.ilmanifesto.it

domenica 9 dicembre 2007

09.12.07 Vertice di Lisbona 4

EPA, migranti e diritti nella prima giornata
E’ arrivato il momento di seppellire definitivamente il passato coloniale basato sulla schiavitù e su postazioni commerciali. Non possiamo essere più solo degli esportatori di materie prime. Non possiamo più accettare di essere solamente un mercato che importa prodotti finiti”: è un passaggio dell’intervento tenuto dal presidente della Commissione dell’Unione Africana Alpha Oumar Konaré di fronte agli oltre 70 capi di stato e di governo riuniti a Lisbona per il II Vertice Afro-Europeo apertosi ieri. Prendendo la parola, Konare è andato subito al cuore del principale argomento del vertice, ovvero gli accordi di partenariato economici (Ape/Epa) tra Europa e Africa, denunciando la strategia utilizzata nelle ultime settimane dall‘Unione Europea che, a fronte di crescenti critiche agli accordi, ha avviato trattative separate con i singoli paesi o blocchi regionali. “Sarebbe bene evitare di cercare di mettere certe regioni africane contro altre, o mettere un paese di una regione contro l’altro” ha aggiunto Konaré, aggiungendo: “altrimenti sarà sicuramente possibile riuscire a ottenere un qualche tipo di vittoria, ma si tratterebbe di una vittoria di Pirro, fondata su divisioni e sui tremendi costi che sarà costretta a pagare la popolazione rurale e l’industria africana”. La posizione di Konare è stata ribadita anche dal presidente senegalese Abdoulaye Wade che ha detto: “l’Africa non è d’accordo con gli Epa”. Tra gli altri temi affrontati durante la prima giornata del vertice c’è stato anche quello delle migrazioni: con la Spagna che ha sottolineato l’importanza di regolarizzare i flussi migratori e la Libia, con l’intervento del colonnello Gheddafi, che ha sottolineato come l’emigrazione sia un frutto del colonialismo europeo, chiedendo l’istituzione di un fondo speciale da dedicare a gestire il fenomeno. Si è poi parlato anche di diritti umani, che, secondo il presidente sudafricano Thabo Mbeki, sono insieme al buon governo fondamentali per sconfiggere la povertà in Africa. Poco prima di Mbeki, era intervenuta Angela Merkel, cancelliere tedesco, che aveva attaccato il presidente dello Zimbabwe Robert Gabriel Mugabe, definendo l’attuale situazione dello Zimbabwe “non buona per l’immagine di una nuova Africa”. Le critiche della Merkel sono state respinte dal presidente senegalese Wade, secondo cui le parole della cancelliera si fondano su “informazioni errate e inesatte”.

Brevi da Lisbona
L'Italia intende mettere l'Africa al centro dei lavori del G8 durante il proprio turno di presidenza del 2009. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio italiano Romano Prodi ai lavori del vertice Ue-Africa, in qualita' di relatore sui temi del commercio, delle infrastrutture e dello sviluppo. Il capo di governo ha anche sostenuto che “la crescita economica in Africa e' dovuta anche alla Cina, che commercia e investe. Pechino e' uno stimolo per l'Europa in Africa e non un pericolo“. -

Tafferugli sono esplosi ieri nei pressi della stazione di Lisbona tra gruppi di critici e di sostenitori dei presidenti di Zimbabwe e Libia. Lo riferisce l’agenzia di stampa portoghese Lusa, precisando che la polizia ha effettuato anche alcuni fermi.

Africa ed Europa dovrebbero trasformare il loro partenariato strategico “in un partenariato tra popoli europei ed africani”: lo ha detto la presidente del parlamento panificano, Gertrude Mongella. Rappresentanti dei parlamenti dei due continenti si sono incontrati giovedi e venerdi scorso in una riunione preliminare al vertice. L’incontro è stato l’occasione per “un intenso scambio di idee” e per mettere a punto un documento di conclusioni che verrà consegnata domani ai capi di Stato e di governo.

Francia e Rwanda si incontrano per "voltare pagina"
“Vogliamo girare pagina e guardare al futuro”, così il presidente francese Nicolas Sarkozy ha sintetizzato ai cronisti l’incontro avuto poco prima con il presidente ruandese Paul Kagame. L’incontro, su cui non ci sono molti particolari, è stato descritto da Sarkozy come “l’inizio della normalizzazione” delle relazioni tra Francia e Rwanda. Il faccia a faccia tra i due capi di Stato era stato preceduto nei mesi scorsi da altri passi in avanti per il riavvicinamento. Recentemente il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner aveva ammesso che la Francia “ha commesso alcuni errori” in Rwanda. Nel novembre 2006, il Rwanda ha rotto le relazioni diplomatiche con la Francia dopo l’emissione di un mandato di arresto, da parte del giudice transalpino Jean-Louis Bruguiére, contro nove personalità vicine al presidente Paul Kagame nell’ambito dell’inchiesta sull’attentato all’aereo del presidente Juvenal Habyarimana, avvenuto il 6 aprile 1994, considerato la scintilla che fece scoppiare il genocidio.

Economia africana, crescita oltre il 5%
L’economia africana è attestata per un tasso di crescita superiore al 5% per i prossimi due anni. Lo ha annunciato la Banca di sviluppo africana (Adb/Bad) a margine di un incontro organizzato nel corso del vertice di Lisbona. Il direttore dell’istituto di credito, Louis Kasekende, ha spiegato che la crescita economica africana dei prossimi due anni sarà trainata ancora dai prezzi crescenti del petrolio e di alcune materie prime come alluminio, rame e oro. A questi, ha aggiunto il direttore, va poi sommata la macrostabilità economica raggiunta dall’Africa negli ultimi 7 anni.

Brevi da Lisbona
Unione Africana e Nazioni Unite hanno rilanciato ieri, poco prima dell’apertura del Vertice, un nuovo appello ai paesi occidentali perché forniscano i mezzi aerei necessari alla forza di pace ibrida Ua-Onu che dovrà essere dispiegata nelle prossime settimane in Darfur, Sudan occidentale.

I presidenti di Francia e Costa d’Avorio si sono incontrati ieri a margine del vertice di Lisbona. In una conferenza stampa, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha definito l’incontro un “passo verso una certa forma di normalizzazione”

Il presidente del Consiglio italiano , Romano Prodi, ha ufficializzato di aver stanziato 40 milioni di dollari per l’ 'Africa Peace Facility', con cui finanziare gli sforzi di pace e di ricostruzione dell'Unione Africana.

"Nuova pagina" nelle relazioni tra i due continenti?
Il secondo vertice Afro-europeo concluso oggi a Lisbona ha “realmente consentito di voltare pagina nella storia” delle relazioni tra i due continenti: lo ha detto, nella cerimonia di chiusura dell'incontro, che da venerdì sera ha riunito nella capitale portoghese una settantina di capi di stato e di governo, il primo ministro portoghese e presidente di turno dell’Unione Europea (UE), José Socrates, sottolineando anche l’adozione di un documento per l’avvio di un nuovo “partenariato strategico” tra i 27 paesi europei e i 53 africani. “È vero che la storia dei nostri continenti è una storia con alcune ferite, ma la nuova pagina che abbiamo aperto è ancora tutta da scrivere” ha ribadito Socrates. Anche il presidente di turno dell’Unione Africana, il ghanese John Kufuor, ha definito il vertice di Lisbona “un avvenimento storico nelle relazioni tra Europa e Africa”, sottolineando che la sfida per le due parti consisterà ora nel mettere in opera seriamente il piano d’azione su cui si sono accordati. La “strategia” contenuta nella Dichiarazione di Lisbona si suddivide in otto “partenariati” prioritari da avviare entro il 2010: “pace e sicurezza”, “buon governo, democrazia e diritti umani”, “commercio e integrazione regionale”, “Obiettivi del Millennio per lo sviluppo”, “energia”, “riscaldamento climatico”, “migrazioni, mobilità e impiego” e “scienze, società dell’informazione e spazio”. I capi di stato hanno approvato un “piano d’azione” che prevede, in ognuno dei settori prima elencati, progetti da realizzare a breve termine (2008-2010) e un meccanismo di controllo dell’applicazione e di accompagnamento del piano. Questa strategia, si legge ancora nella dichiarazione finale, “dovrà essere seguita nel rispetto dell’unità africana, dell’interdipendenza di Africa ed Europa e di responsabilità congiunta”. Il nuovo desiderio di stabilire un “partenariato tra eguali”, come è stato più volte definito nel vertice, è stata in parte messa in ombra dalle divergenze che hanno caratterizzato il vertice. Oltre alle polemiche legate al ‘caso Zimbabwe’, tanto caro soprattutto ad alcuni mezzi d'informazione, Africa ed Europa sono sembrati molto distanti sulla questione degli Accordi di partenariato economici (Ape/Epa) da firmare entro la fine dell’anno. I paesi africani hanno ribadito, con il presidente senegalese Abdoulaye Wade come capofila, la loro contrarietà agli accordi di libero commercio che penalizzerebbero eccessivamente, nella loro versione attuale, le economie in fase di sviluppo dell’Africa. Dopo aver definito “difficili” i negoziati sugli Epa, il capo della Commissione Europea, José Manuel Barroso, ha annunciato che le trattative proseguiranno anche il prossimo anno. “Il nostro obiettivo è sempre stato, e continua ad essere, quello di concludere gli Epa per rinforzare l’integrazione regionale e garantire uno sviluppo genuino ai paesi africani. Chiaro che stiamo parlando di un cambiamento e come tutti i cambiamenti richiede tempo” ha aggiunto Barroso. Dello stesso parere anche il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, il quale ha ammesso che i negoziati “non sono facili”. Secondo Prodi, le cui parole sono state riportate dall’agenzia di stampa portoghese Lusa che ha seguito attentamente l’intero vertice, molti paesi africani sono spaventati dalla prospettiva di perdere rapidamente competitività con l’entrata in vigore dei nuovi accordi, e per questo l’Europa dovrebbe “dare garanzie” maggiori ai partner africani. Più vicine invece le posizioni delle due delegazioni sui problemi dell’immigrazione.

Il caso Zimbabwe
Dopo le accuse lanciate ieri dalla cancelliera tedesca Angela Merkel alla politica del presidente dello Zimbabwe, Robert Gabriel Mugabe, accusato di “danneggiare l’immagine della nuova Africa” oggi è stata la volta del 83 enne capo di Stato africano che ha denunciato “l’arroganza” dell’Unione Europea e in particolare di quattro paesi (Germania, Svezia, Danimarca e Olanda) che nel corso del vertice hanno criticato la situazione dei diritti umani nel suo paese. “Ieri abbiamo ascoltato quattro paesi criticare lo Zimbabwe per l’assenza del rispetto dei diritti umani. La banda dei quattro ‘pro Gordon’ (facendo riferimento al primo ministro inglese Gordon Brown, assente al vertice a causa della presenza di Mugabe, ndr) pensa veramente di conoscere meglio lo Zimbabwe degli africani. È proprio contro questo genere di arroganza e di complesso di superiorità che ci battiamo” ha detto oggi Mugabe nel corso della seconda sessione plenaria del vertice, di fronte a una settantina di capi di Stato e di governo. “È importante – ha proseguito il presidente dello Zimbabwe – che la gente si ricordi dello spirito con cui gli africani hanno combattuto per ottenere i diritti dell’uomo durante l’oppressione. Non c’è stata democrazia in Zimbabwe nei circa cento anni di sottomissione e noi ci siamo battuti per il principio di ‘un uomo una voce’”. “Perché il primo ministro (Brown, ndr) non è al suo posto? Perché c’è un portavoce? C’è da parte della gran Bretagna e degli Stati Uniti la volontà di cambiare il nostro governo. Dicono che si tratta di una cambio di governo, che è loro diritto. Noi diciamo no!. Noi abbiamo il diritto di determinare il futuro dello Zimbabwe, che non sarà mai più una colonia” ha concluso Mugabe. Ma le parole pronunciate nel corso del vertice contro lo Zimbabwe e il suo governo non sono piaciute a molti altri esponenti africani di rilievo. Se il presidente senegalese Abdoulaye Wade aveva denunciato già ieri il discorso della Merkel sottolineando che l’attacco a Mugabe era basato su “informazioni errate o inesatte”, più diretto ancora è stato il presidente sudafricano Thabo Mbeki (mediatore nella crisi politica interna zimbabwana tra governo e opposizione), che ha detto alla Merkel: “ma di cosa stai parlando? Lo sai che le cose stanno progredendo”. Irritata, per le polemiche intorno allo Zimbabwe, anche la Comunità di sviluppo degli Stati dell’Africa australe (Sadc), che ha criticato la scelta di affrontare la questione. “Lo Zimbabwe non faceva parte dell’ordine del giorno dei lavori di questo vertice” ha detto in una conferenza stampa il segretario generale della Sadc, Tomaz Salomao, aggiungendo “la nostra posizione è che tocca a noi occuparci di questa vicenda e il presidente Thabo Mbeki se ne sta già occupando da tempo”. Per cercare di stemperare le tensioni, Javier Solana, il massimo rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, ha detto che “l’Unione Europea è pronta a normalizzare le sue relazioni con lo Zimbabwe, dal momento che questo paese sta compiendo alcuni degli impegni presi”.

Brevi da Lisbona
I capi di Stato e di governo europei ed africani si sono dati appuntamento nel 2010 per il III Vertice afro-europeo; il primo ministro portoghese, José Socrates, ha aggiunto che la Libia ha già depositato la sua candidatura per ospitare il prossimo vertice.

L’Unione Europea e la Sierra Leone hanno siglato un accordo per sbloccare aiuti finanziari di oltre 200 milioni di euro; lo ha annunciato il ministro degli Esteri sierraleonese, Zainab Hawa.

Un accordo di cooperazione, che prevede un primo stanziamento di 10 milioni di euro, è stato firmato oggi a Lisbona tra Spagna e Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) per il 'sostegno di genere' e lo sviluppo di infrastrutture e di più attenti controlli sui flussi migratori.

Il presidente di turno dell’Unione Europea, José Socrates, si è detto ottimista sulla possibilità di compiere progressi “passo per passo” nel regolare, insieme ai paesi africani, i flussi migratori tra Africa ed Europa e nel combattere il traffico di esseri umani; a suo avviso negli ultimi sette anni la mancanza di un dialogo politico tra i due continenti ha permesso ai trafficanti di uomini di espandere la loro attività.
www.misna.org

08.12.07 Vertice di Lisbona 3

L'Africa fa gola all'Ue, e Mugabe sbarca a Lisbona
Vertice euro-africano, Londra boicotta perché c'è il presidente dello Zimbabwe. Gli altri dell'Ue sperano di contrastare l'influenza cinese nel Continente nero
Stefano Liberti Inviato a Lisbona

Settanta capi di stato e di governo, delegazioni ipertrofiche, hotel stracolmi e una tenda beduina allestita all'interno del Forte de Sao Juliao de Barra per ospitare il leader libico Muammar Gheddafi, arrivato già l'altro ieri, in anticipo su tutti gli altri. Si apre oggi a Lisbona il secondo vertice euro-africano, che dovrebbe inaugurare un «nuovo capitolo nelle relazioni tra i due continenti», come ha dichiarato solennemente da Bruxelles il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso. Un consesso che la presidenza di turno portoghese ha voluto tenere a tutti i costi, nonostante le opposizioni e i dubbi sollevati da alcuni paesi membri - in primis la Gran Bretagna - per la presenza del capo di stato dello Zimbabwe Robert Mugabe, accusato di violazioni dei diritti umani e ostracizzato di fatto dalla Comunità internazionale, soprattutto in Occidente. Dall'incontro del Cairo del 2000, primo e unico summit euro-africano tenutosi finora, tutti i tentativi di ripetere l'esperienza si erano arenati proprio sul problema Mugabe: i britannici non ne volevano sapere di sedere allo stesso tavolo dell'anziano leader, che accusano di essere un feroce dittatore; i suoi omologhi africani non potevano accettare che un capo di stato legittimo di uno stato sovrano non partecipasse per un veto posto dall'ex potenza coloniale. Quest'anno, la questione Mugabe è stata aggirata: il presidente zimbabwano è stato invitato, nonostante il formale divieto di viaggiare all'interno dell'Ue. È arrivato nella capitale portoghese e tutto lascia pensare che farà un discorso dai toni infuocati. Il premier britannico Gordon Brown ha boicottato l'incontro, inviando un membro della camera dei lord in veste di «osservatore». Tutti gli altri paesi sono invece rappresentati da delegazioni di alto livello, a voler significare l'interesse economico e politico per un continente che sta acquisendo negli ultimi tempi una crescente importanza geo-strategica. Il ricordo del summit tenutosi l'anno scorso a Pechino, quando 48 capi di stati africani (quelli dei paesi che riconoscono la Cina popolare) sono stati ricevuti in pompa magna dal presidente Hu Jintao e sono tornati a casa con contratti, prestiti e promesse di investimento per milioni di dollari ha spinto l'Europa a farsi sentire. L'Unione europea (Ue), che sta perdendo consistenti fette di mercato e influenza politica a sud del Mediterraneo, ha deciso che questo summit doveva farsi, come ultima chance per contrastare l'avanzata cinese. E la penetrazione di Pechino in Africa sarà uno dei temi centrali. Nella sua «strategia globale per l'Africa», l'Ue pone l'accento su un nuovo partenariato strategico, una relazione che vada al di là dei vecchi schemi. «L'Europa deve guardare con occhi nuovi al continente africano», ha detto il commissario allo sviluppo Louis Michel. Perché i vecchi schemi sono stati fatti saltare da Pechino, la cui aggressiva politica di penetrazione propone di fatto un nuovo competitor nel mercato africano, da sempre ridotto a terreno di conquista delle ex potenze coloniali. L'arrivo della Cina fornisce di fatto ai paesi africani un nuovo soggetto a cui vendere le proprie risorse, garantendo loro maggiori margini di negoziato. L'Unione Europea, che critica l'approccio cinese per la sua scarsa attenzione per i diritti umani, vuole proporre una nuova partnership. Ma quali sono nel concreto i punti di questa nuova politica, per un continente che non ne ha mai avuta una propria rispetto all'Africa? A leggere i documenti già preparati per la chiusura del vertice, sembra che molte delle questioni in agenda si risolveranno con parole di circostanza sull'importanza di una nuova amicizia i cui contorni rimarranno poco definiti. Eccetto che su un punto: il delicato capitolo degli accordi di partenariato economico, quei famosi «Epa» che prevedono la liberalizzazione totale delle merci e dei servizi, in sostituzione dei vecchi accordi di Cotonou. L'Organizzazione mondiale del commercio vuole che si firmino entro il 31 dicembre. Le organizzazioni di produttori e le società civili di vari paesi africani si oppongono. Bruxelles preme perché si rispetti la scadenza. Molte Ong impegnate in Africa - fra cui Oxfam e Actionaid - sottolineano il paradosso lampante: quello di un vertice di partenariato che si apre all'insegna di pressioni su uno dei partner per fargli firmare accordi commerciali che rischiano di essere dannosi per il suo sviluppo economico.
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sabato 8 dicembre 2007

09.12.07 Animale domestico

Finalmente abbiamo il nostro animale domestico, che ci aspetta davanti a casa e ci fa le feste quando torniamo: è una simpatica Mantide Religiosa! La prima volta che è venuta a trovarci ci siamo un po' "sorpresi" nel trovarcela a pochi centimetri dalla faccia, ma dopo qualche giorno eravamo già inseparabili. Non abbiamo ancora deciso come chiamarla. Cercando un po' in Internet abbiamo trovato qualche notizia sul suo conto; c'è anche un sito interessante che spiega come allevarle in casa, anche se per il momento preferiamo lasciarla libera di scorrazzare per il giardino!



La Mantide religiosa (Mantis religiosa), denominata anche mantide europea, è una delle specie più comuni dell'ordine Mantodea. Già nel settecento un illustre scienziato biologo, considerato il padre della moderna classificazione scientifica di piante e animali, Carl von Linné, conosciuto come Linneo, attribuiva alla mantide il termine “Religiosa” per la posizione degli arti raptatori, che ricordavano un’austera figura in preghiera. Mantis idos, che deriva dal greco, significa profeta e questo la dice lunga su quanto fosse temuto e rispettato fin dall’antichità questo insetto.
Tutte le mantidi sono completamente innocue, non hanno alcun veleno. Ciò che, a volte, perdono dalla bocca non è sangue ma un rigurgito con scopi intimidatori. Il suono che emettono alcune specie è provocato dallo sfregamento delle ali per spaventare eventuali aggressori.
Le mantidi sono originarie dell'Africa e si diffusero rapidamente nell'Europa meridionale. Si è diffusa anche in Nord America a partire dal 1899, sembra importata accidentalmente con un carico di piante da vivaio. La loro diffusione dipende soprattutto dalla richiesta di alte temperature. La loro diffusione è infatti notevolmente inferiore nell'Europa centrale e quasi inesistente nell'Europa del Nord. In Germania infatti sono considerati animali protetti e la loro cattura è vietata.
In Africa ancora oggi le mantidi sono oggetto di culto e credenze religiose per gli indigeni. Per i Boscimani, ad esempio, le principali figure mitologiche sono: la Mantide, l'Eyras (una specie di marmotta che vive solo in Africa e in Siria), il Porcospino, l'Icneumone (una specie di mangusta). Tutti questi animali però sono concepiti nella mente dei Boscimani come esseri appartenti ad una razza anteriore a quella attuale, con forme miste fra animali e uomini. Questo è stato possibile comprenderlo dalle immagini delle figure mitologiche scolpite dai Boscimani sulle rocce nei tempi preistorici. La Mantide è la figura principale nelle leggende boscimane. E' un essere astuto e burlone dotato di poteri magici che talvolta compare anche sotto forma di Antilope ed è il protettore della caccia, dei frutti selvatici, della pioggia, ma si diverte anche a tendere tranelli. La Mantide ha dato origine alla notte ed ha creato la luna che però ha influenze malefiche sugli uomini. La luna, finché appare in cielo, infatti, è considerata come portatrice di morte ed i Boscimani non osano mai guardarla, soprattutto dopo aver ucciso la selvaggina che credono possa scomparire con la luna. La luna nuova invece è considerata il simbolo della vita che porta la cacciagione e spesso anche la pioggia. Hyrax è la moglie di Mantide, mentre Porcospino è la loro figlia adottiva che ha sposato Kuammanga (l'arcobaleno); Kuammanga e Porcospino hanno un figlio che si chiama Icneumone.
Per i Romani la mantide dava il malocchio, mentre Thomas Mouffet, naturalista rinascimentale, affermava che la mantide è divina e mostra con le sue zampe la strada giusta al viandante sperduto. Aristarco, astronomo e fisico greco asseriva che la mantide era portatrice di mala sorte e persino lo sguardo, se si era fissati, era fonte di sciagura. Nell’antichità si credeva che la comparsa della mantide preannunciasse carestia e persino la sua ombra disgrazia per gli animali che incontrava.
L'accoppiamento delle mantidi è stato spesso legato al simbolo del potere femminile negativo in quanto la femmina dopo essersi accoppiata o anche durante l'accoppiamento divora il maschio partendo dalla testa mentre gli organi genitali proseguono nell'accoppiamento.
La mantide religiosa, il più chiacchierato fra gli insetti. Prega e uccide. La sua notorietà si deve a questo. Cosa c'è di più perverso e contraddittorio? Eretta sulle zampe posteriori, immobile, nella posizione di chi ha le mani giunte, è solo un piccolo insetto di quattro, cinque centimetri. Bello, si direbbe, per una certa somiglianza con l'uomo, se non fosse per una serie di dicerie che la mantide religiosa si porta dietro da più di due millenni.Dunque bella no. Ma crudele, assassina, terribile, una vera maledizione della natura. E il fatto che sia "religiosa" non fa che amplificare il senso delle sue "azioni malvagie". Perchè questo straordinario animale uccide il partner? Qualche tempo fa si impose una teoria: bisogna partire dalle fasi dell'accoppiamento. La mantide è stretta a un ramo, si guarda intorno con una capacità unica negli insetti, torce il collo a trecentosessanta gradi. Un maschio l'adocchia; centimetro per centimetro, accorto, guadagna terreno, non deve farsi scorgere nemmeno per un attimo, se no sarebbe la fine. Quando è abbastanza vicino, con un balzo improvviso le monta sul dorso, le morse anteriori si stringono al dorso della femmina, le zampe posteriori si avvinghiano all'addome.
L'accoppiamento dura alcune ore, un tempo lunghissimo in cui non si deve perdere la concentrazione, pena la morte. Dopo qualche tempo dall'inizio dell'accoppiamento la mantide torce il collo e inizia a staccare la testa del compagno. Una gran parte del torace finisce presto fra le mascelle della femmina. La scena è impressionante. Ma ciò che colpisce maggiormente è che il maschio continui il suo amplesso amoroso. Le ragioni vere dell'operazione stanno in una particolare architettura nervosa della mantide. I gangli nervosi, infatti, si estendono lungo tutto il corpo, tanto che non si può localizzare il cervello in un punto ben preciso. La saggia femmina lo sa, e sa anche che il ganglio cerebrale fa da inibitore alla emissione di sperma. Dunque via la testa. Per la sopravvivenza della specie. Negli ultimi anni due ricercatori, Liiske e Davis, hanno formulato una nuova teoria. Osservando degli accoppiamenti in condizioni diverse di alimentazione della femmina, hanno ipotizzato che solo qualche volta le mantidi mangino i loro maschi, per il fabbisogno di proteine nella rapida produzione di uova. In allevamento spesso la femmina infatti essendo ben nutrita "risparmia" il maschio. Come controprova è stato dimostrato che i maschi si accoppiano più di una volta e perciò non è obbligatorio che vengano sempre divorati.
La Mantide sa camuffarsi facilmente tra le foglie, dove aspetta immobile la preda. I toni dell'abito si conformano a quelli dominanti dell'ambiente: è come se la mantide applicasse al suo corpo una fotografia di ciò che ha intorno. E quando arriva la preda, con fierezza si erge sul torace, piega da un lato le tenaglie, innalza alla base delle zampe due figure dalla forma di occhi che tiene generalmente nascosti. Le ali sono allargate come bandiere da guerra. E vibrano, vibrano con un rumore assordante impaurendo la preda che si lascia uccidere senza opporre alcuna resistenza, pietrificata, ipnotizzata da quella che i naturalisti chiamano "attitudine spettrale".
Per la sua incredibile abilità nell’arte del combattimento, questo insetto ha ispirato il maestro Wong Long, un monaco del tempio di Shaolin, fondatore dello stile della Mantide Religiosa. Un giorno mentre stava camminando all'aperto, Wong Long assistette ad un combattimento tra una mantide religiosa ed una cicala. Ad un primo sguardo poteva sembrare che la piccola mantide aveva un evidente svantaggio rispetto al più grande insetto, ma combatteva con grande coraggio. Wong restò affascinato dalla combattività, velocità e forza dell'apparentemente perdente mantide. Quando la cicala sferrava un attacco la mantide spostava il suo corpo da una parte e con forza e velocità bloccava la cicala con le sue potenti zampe. Wong prese con se la mantide per ulteriori studi e, utilizzando uno stelo di canna, studiò accuratamente i suoi movimenti, esaminando come l'insetto reagiva alle varie situazioni. Wong volle poi imitare queste azioni e pian piano codificò il suo sistema di combattimento.


08.12.07 Il Mozambico torna al DDT

Mentre è in corso una campagna nazionale per censire e poi smaltire tonnellate di pericolosi pesticidi scaduti, il governo ha deciso di acquistare 900 tonnellate di DDT in nome della lotta alla malaria. Negli ultimi 40 anni, 50 mila tonnellate di prodotti chimici scaduti hanno contaminato decine di migliaia di ettari sul continente africano. In Mozambico la quantità di insetticidi, erbicidi e fungicidi scaduti viene stimata attorno alle 600 tonnellate. La notizia dell’acquisto, da parte del Ministero della Sanità dello Stato africano, del DDT ha suscitato le preoccupazioni delle organizzazioni internazionali presenti sul territorio. Il DDT è considerato un “inquinante organico permanente” e quindi è vietato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sin dal 1972.
Il ministero ha acquistato l’insetticida da società cinesi e indiane con fondi della cooperazione statunitense.

08.12.07 Vertice di Lisbona 2

Messo in ombra, soprattutto sui grandi mezzi d’informazione, dalle polemiche relative a qualche paese bollato con il marchio delle ‘violazioni dei diritti umani’ - una cortina fumogena dietro cui alcuni governi nascondono più rabbiose insoddisfazioni legate a scelte economiche e politiche - il vertice afro-europeo in corso fino a domani in Portogallo, a Lisbona, dovrebbe costituire la prima tappa di un nuovo cammino che l’Unione Europea (UE) intende avviare nelle relazioni con l’Africa. L’incontro attuale - a cui partecipano 40 presidenti e 27 capi di governo di altrettanti paesi oltre ai rappresentanti di altri 13 paesi - difficilmente potrà riprendere le fila del primo vertice di sette anni fa, quando non esisteva l’Unione Africana (UA), quando nel continente erano in atto numerosi e vasti conflitti, quando l’economia africana non era trainata dalle continue scoperte di giacimenti di idrocarburi e dall’alto prezzo del petrolio o delle materie prime che l’attestano oggi su tassi di crescita costanti superiori al 5%. Nel 2000 non si parlava ancora di cosiddetta ‘guerra al terrorismo’, di migrazioni o di cambiamenti climatici né di riforma dell’Onu. Un editoriale del quotidiano ivoriano ‘Fraternite Matin’ ha ricordato ieri che sette anni fa la concorrenza all’Europa in Africa era scarsa e solo agli inizi: i singoli paesi del vecchio continente, infatti, continuavano ad avere rapporti preferenziali se non di vero e proprio monopolio con le proprie ex-colonie africane. Negli ultimi anni, accanto a Washington – che anche qui tenta di vestire i soliti panni dell’esportatore di democrazia, libertà e difesa dei diritti umani ma in realtà è come sempre e ovunque a caccia di risorse naturali di ogni genere, a partire dal petrolio - sono comparsi sulla scena africana Repubblica popolare cinese, India, Brasile, provocando qualche rimescolamento di carte che sembra risolversi anche a danno della Francia. Qualche esempio: il Rwanda si allontana dalla lingua francese per parlare sempre più l’inglese e prepararsi ad entrare nel Commonwealth; la Costa d’Avorio, pur pagandolo a caro prezzo, ha preso le distanze dal monopolio francese; il Centrafrica ha concesso, per la prima volta dall’indipendenza, permessi per prospezioni di uranio ad aziende non francesi. Come ha scritto il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, l’Africa è diventata un “obiettivo geo-strategico maggiore sulla scena internazionale” e l’Europa ha bisogno di stabilire “non più una strategia dell’Europa per l’Africa, ma una strategia congiunta, per la prima volta nella storia”, per usare le parole del primo ministro portoghese José Sócrates. “Dobbiamo voltare la pagina post-coloniale per creare un vero partenariato tra pari tra l’Europa e l’Africa” ha aggiunto il segretario di stato portoghese per la cooperazione, Joao Gomes Cravinho. Un’era post coloniale che a volte è passata anche per le condizioni poste, quasi mai in maniera esplicita, ai governi del continente per vincolare aiuti e investimenti e dietro le quali si nascondeva in molti casi la strenua difesa di privilegi derivanti dall’epoca coloniale. Un meccanismo scardinato dal pragmatismo affaristico, ma che è ancora capace di possenti rigurgiti, come il caso Zimbabwe in realtà dimostra. Nel dipingere il ‘mostro Mugabe‘, infatti, Londra, e con lei molti media occidentali, negli ultimi sette anni si è dimenticata di raccontare una parte della storia: quella che vedeva proprio nel 2000 scadere, in base agli accordi di Lancaster House sottoscritti più di 20 anni prima da Londra e dall’allora nuovo governo ‘nero’ di Robert Gabriel Mugabe , i termini per l’avvio della riforma agraria con la quale si sarebbe dovuto garantire (grazie anche alla partecipazione economica inglese) una più equa distribuzione delle terre fertili dello Zimbabwe che, in base a diritti di proprietà coloniali, erano per oltre il 70% nelle mani di una minoranza di famiglie inglesi o di origine inglese. Proprio il caso Zimbabwe (e il divieto di ingresso in territorio europeo al suo presidente, previsto dalle sanzioni prese da Bruxelles dopo le pressioni londinesi) aveva fatto saltare il vertice afro-europeo previsto nel 2003 e ha rischiato di far saltare anche quello di Lisbona. E ancora una volta è proprio il caso Zimbabwe a dare oggi la dimensione di come l’Europa sia realmente intenzionata a cercare una nuova relazione con il continente africano. Nonostante la campagna politica e mediatica delle scorse settimane e il ‘ricatto’ del premier inglese Gordon Brown, che aveva chiesto di scegliere tra la sua presenza e quella di Mugabe, il presidente dello Zimbabwe oggi è nella capitale londinese, mentre Londra è rappresentata da un ambasciatore. D’altronde, come hanno sottolineato molti editorialisti africani, l’Europa non vuole solo mantenere il primato commerciale che detiene attualmente con il continente africano (215 miliardi di euro di scambi nel 2006, con in testa Italia e Francia), limitando la concorrenza dei paesi emergenti, ma vuole rafforzare il suo ruolo in vista di un mercato, quello africano, che nei prossimi decenni si appresta a crescere con forte rapidità per diventare, in potenza, il primo quanto ad espansione. Per questo uno dei temi centrali degli incontri informali di questo vertice è costituito dagli Accordi di partenariato economico (Ape/Epa) tra Unione Europea e paesi africani in scadenza a fine anno e sui quali il continente ha già avanzato più di una critica e un dubbio. Attraverso i cinque temi che verranno affrontati duranti il vertice e che sono già stati inclusi nella dichiarazioni finale – buon governo e diritti umani; pace e sicurezza; migrazione; energia e cambiamento climatico; commercio, infrastrutture e sviluppo – Africa e Unione Europea mirano quindi a costruire una nuova relazione nella quale, come si legge nell’editoriale del quotidiano congolese ‘L’Essor’, alle “sanzioni si sostituisca il dialogo”. (di Massimo Zaurrini)

“Che idea si è fatta l’Unione Europea dei dirigenti africani per permettersi di voler imporre all’Africa nel XXI secolo un partenariato così leonino?”: ruota intorno a questo interrogativo un articolo pubblicato da 'Icicemac', portale di informazione dell’Africa centrale, a firma dell’economista africana Patricia M. Nguegang Ngueba, sui cosiddetti "Accordi di partenariato economico" (Ape/Epa) tra la UE (Unione Europea) e i paesi Acp (Africa-Caraibi-Pacifico). Alla base degli Ape/Epa, ricorda l’autrice, c’è la necessità di rendere “compatibili” con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto, World trade organization) le relazioni commerciali “non reciproche” definite dalle convenzioni di Yaoundé (1963-’69), Lomé (1975) e Cotonou (2000) con la concessione di un “privilegio” all’Acp in base al quale i prodotti di Africa, Caraibi e Pacifico "venivano tassati in modo inferiore rispetto a quelli concorrenti venuti dall’estero”. Ma, precisa l’economista, “studi e analisi su questi accordi dimostrano che i loro effetti sono stati alquanto mitigati. I paesi Acp non hanno approfittato di queste preferenze commerciali. Abbiamo piuttosto assistito alla loro emarginazione nel commercio mondiale, i prodotti esportati non si sono diversificati e sono rimasti prodotti di base, con poco margine di guadagno...Parallelamente la struttura delle esportazioni europee è evoluta verso la riduzione dei prodotti primari. In breve, il bilancio di questi accordi è ben lungi dall’essere entusiasmante”. Ricordando che la firma degli Ape “aprirà il mercato africano secondo i principi della concorrenza e della reciprocità dei prodotti europei” come farà l’Africa, si chiede la Ngueba, “a proteggere la sua economia, fragile e poco strutturata” tanto più che “i paesi africani, detti ‘sottosviluppati’, sono in maggioranza in fasi embrionali di industrializzazione?". Con l’afflusso dei prodotti europei “che in più sono scandalosamente sovvenzionati dai loro governi, i prodotti africani non potranno sostenere la concorrenza in termini di qualità e prezzi. Il risultato è che assisteremo alla morte certa delle nostre imprese”. L'economista africana prende in esame anche l’impatto degli Ape “sul bilancio pubblico e sulla fiscalità dei paesi africani. Se i dazi doganali costituiscono una parte importante delle risorse degli stati africani, peraltro deboli tenuto conto dei loro addebiti, "una loro diminuzione comporterà anche la diminuzione della spesa pubblica di questi paesi, gravando in particolare sulle politiche sociali. Per compensare queste perdite i governi saranno obbligati a tassare di più i cittadini accentuando così la pressione fiscale e di conseguenza la povertà delle masse”. Di fronte a una UE secondo la quale gli accordi saranno vantaggiosi per i paesi africani "e che - aggiunge la Ngueba - non esita a ricorrere al ricatto e a una strategia di divisione, avvicinando individualmente i paesi per concretizzare la firma di questi accordi...la storia presente e passata ci autorizza ad avere profondi dubbi di fronte a questa posizione ‘altruista’ marcata da un paternalismo offensivo per l’intelligenza degli africani”. Secondo l'economista africana gli Ape/Epa “obbediscono a un’opzione strategica della UE” per “garantire sbocchi ai suoi prodotti sul mercato africano poichè tutti gli studi dimostrano che entro due decenni l’Africa sarà il mercato più importante dopo l’Asia”.
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venerdì 7 dicembre 2007

07.12.07 Vertice di Lisbona

Si terrà a Lisbona, l'8 e il 9 dicembre, il secondo vertice tra l'Unione europea e l'Unione africana. Ma questa volta, scrive il settimanale mozambicano Savana, "non per discutere di come aumentare il flusso di denaro dall'Europa all'Africa in aiuti allo sviluppo, ma per avviare un confronto politico sui problemi che riguardano sia l'Africa sia l'Europa". Anche se il dibattito prima del vertice si sta concentrando sull'eventuale partecipazione del presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, al summit si parlerà di questioni molto più pressanti: "I cambiamenti climatici, la ricerca di materie prime, le risorse energetiche, la riforma delle istituzioni internazionali (in particolare le Nazioni Unite), la sicurezza internazionale, l'emigrazione: sono problemi comuni anche se vissuti in maniera molto diversa". Rispetto al vertice del 2000 c'è però una grande novità: la Cina. Secondo Adolfo Inguane, dell'Istituto superiore di relazioni internazionali, "l'Europa è troppo preoccupata a difendere la sua secolare egemonia sul mercato africano. L'arrivo del gigante asiatico sulla scena si presenta come una minaccia". Insomma il summit di Lisbona potrà rafforzare i legami tra Europa e Africa. Perché per la prima volta saranno allo stesso livello.
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Un rapporto non più tra donatori e beneficiari ma tra pari; una strategia congiunta per raggiungere un reale 'partenariato'; un piano d’azione con precise scadenze da rispettare: sono i tre punti nei quali è suddivisa la Dichiarazione di Lisbona, il documento con il quale domenica si chiuderà in Portogallo il II vertice Africa-Europa alla presenza dei rappresentati di 53 stati africani e 27 europei. In realtà, hanno riferito alla MISNA ambienti vicini alla Farnesina, il contenuto della Dichiarazione doveva essere divulgato soltanto domenica alla fine dei lavori, ma il ministero degli Esteri egiziano ne ha dato parziale conoscenza in anticipo, a conclusione della riunione preparatoria tenuta a Sharm el-Sheikh. Il punto di maggior rilievo della Dichiarazione – concordano diversi osservatori internazionali – sarà la formulazione di un nuovo pensiero che regoli i rapporti tra i due continenti basato non più su una direttrice contribuente-assistito, ma su una base paritaria da assicurare in primo luogo con uno sforzo comune per la risoluzione dei conflitti ancora in corso in Africa. Da qui la volontà di creare un fondo comune a sostegno della stabilizzazione al quale l’Italia contribuirà con una quota di 40 milioni di euro. “Noi – dice il testo della Dichiarazione – svilupperemo un partenariato di popoli, basato sull’impegno concreto delle nostre società per ottenere risultati significativi in settori fondamentali: lo stabilimento della pace e di una robusta architettura di sicurezza in Africa, la promozione del buon governo e dei diritti dell’uomo”. Nel documento si accenna inoltre alla “creazione di un meccanismo in grado di realizzare gli obiettivi fissati e di mostrare i risultati ottenuti in occasione del prossimo vertice nel 2010”. Nel documento vengono (saggiamente) ignorate alcune polemiche minori che - grazie all' ampio spazio accordato dalla stampa internazionale - hanno accompagnato la vigilia del vertice: in particolare il tentativo del primo ministro inglese, Gordon Brown, di bloccare la partecipazione del presidente dello Zimbabwe Robert Gabriel Mugabe che, arrivato stanotte a Lisbona, aveva già ringraziato pubblicamente l’Unione Europea - che pure gli ha imposto sanzioni - “per non essere caduta nella trappola di internazionalizzare una questione bilaterale che riguarda esclusivamente Harare e Londra"; ovvero la controversa riforma agraria che ha consentito di ridistribuire la terra dei latifondi di proprietà non locale, residuo della vecchia storia coloniale. A Lisbona le polemiche dovrebbero comunque trovare poco spazio: tra i tanti temi in agenda, molti riguarderanno le varie forme di collaborazione commerciale ed economica, la pace e la sicurezza; ma si parlerà anche di diritti umani, Darfur, migranti, energia e cambiamenti climatici.
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La pace in Africa passa attraverso un ruolo sempre più decisivo dell’Unione Africana (Ua): è l’opinione dell’Unione Europea e del governo italiano che contribuirà con 40 milioni di euro alla creazione di un fondo di stabilizzazione per la pace finalizzato a potenziare proprio l’organizzazione con sede ad Addis Abeba che promuove la cooperazione tra i Paesi del continente. L’iniziativa, anticipata dall’agenzia di stampa ‘Apcom’, sarà ufficializzata nell’ambito del II vertice Africa-Europa in programma nel fine settimana a Lisbona. Puntare sulla Ua – hanno detto le fonti diplomatiche riferite dall’agenzia di stampa italiana – significa fare affidamento su una struttura in grado di rappresentare il punto di contatto, ma soprattutto il futuro del continente, sia per la capacità di gestire direttamente il destino dell’Africa sia per la capacità di instaurare rapporti di collaborazione con l’Unione Europea. Le prime aree di intervento interessate da questo potenziamento delle capacità operative della Ua saranno Corno d’Africa e Darfur, due regioni africane per le quali non è ancora stata trovata una soluzione definitiva ad anni di combattimenti e violenze. La stessa fonte ha anticipato la relazione di Romano Prodi in Portogallo: il primo ministro italiano inviterà in particolare a definire “un approccio politico continentale nei confronti dell’Africa (...) per assicurare condizioni di sicurezza considerate la base e la pre-condizione per lo sviluppo economico del continente”.
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“È ironico constatare che alla vigilia di un vertice che si suppone sul partenariato, l’Unione europea (Ue) stia facendo un’enorme pressione sui paesi in via di sviluppo per fargli firmare accordi di liberalizzazione sugli scambi commerciali che rischiano di essere dannosi per il loro sviluppo economico”: lo ha detto Amy Barry di Oxfam (Oxford committee for famine relief) confederazione di organizzazioni non governative, a poche ore dall’apertura a Lisbona (Portogallo) del II Vertice afro-europeo. Come numerose organizzazioni di società civile, produttori, sindacati o ancora della Chiesa, anche Oxfam, che sarà presente al vertice con una propria delegazione, esprime forti riserve sui vasti ‘Accordi di partenariato economico’ (Ape o Epa secondo l’acronimo inglese) che l’Unione europea aveva previsto di firmare con i paesi di Africa, Carabi, Pacifico (Acp) entro fine anno, per sostituire gli ‘Accordi di Cotonou’. La maggior parte dei negoziatori dell’Acp ha chiesto “più tempo” in modo da poter adeguare i propri mercati in vista dell’apertura alla concorrenza europea. “Molti governi africani hanno espresso preoccupazione” ricorda Barry, “ma l’Ue è inflessibile e insiste sulla scadenza. Se si firmano accordi sbagliati, molti cittadini poveri perderanno il lavoro e le spese dedicate all’educazione e alla sanità potrebbero diminuire”. Nelle ultime settimane si sono intensificate le trattative per far firmare a singoli paesi o gruppi di paesi ‘accordi quadro’ di scambi su specifici prodotti, in attesa della firma degli Ape rimandata, con alcuni, di circa un anno. Quelli che non firmeranno questi accordi ‘interinali’ saranno penalizzati a partire da gennaio con aumenti di tasse doganali all’entrata sul mercato dell’Ue. I negoziati sugli Ape saranno tra gli argomenti in agenda al vertice di Lisbona.
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06.12.07 Gnoco Frito

Parte con questo Post una nuova rubrica di ricette culinarie dal titolo "Se ci riusciamo noi...", visto il nostro proverbiale talento ai fornelli. Tenteremo di portare on line i sapori tipici del Mozambico! Questa sera abbiamo sperimentato una ricetta non proprio tipica di queste zone. Buon appetito!

Gnoco Frito
(Gnocco fritto)



Ingredienti per 500 gr. di farina:
30 gr. di burro oppure 2 cucchiai da minestra di olio d'oliva (noi abbiamo usato l'olio)
1/4 di litro di acqua e latte mescolati insieme in pari dose (più latte si aggiunge e più l'impasto viene morbido. Se piace più croccante naturalmente è bene non eccedere con il latte) con 5 gr di bicarbonato o dell'acqua minerale frizzante (noi non avevamo nessuno dei due)
sale
olio per friggere

Preparazione:
Setacciate la farina a fontana (setacciate in cerca di cosa?) sul tavolo e al centro mettete l'olio, l'acqua ed il latte tiepidi, il bicarbonato, e sale a piacere. Lavorate bene l'impasto fino a formare una palla morbida ed omogenea che farete riposare per almeno mezz'ora. Con il mattarello (o una bottiglia di birra!) tirate una sfoglia molto sottile e con la rotella taglia-pasta fatte i pezzi di gnocco della grandezza che preferite. Immergete nell'olio bollente pochi pezzi alla volta e scolateli non appena saranno dorati e croccanti (se avete le infradito attenti alle gocce di olio bollente che vi arrivano sulle dita dei piedi!). L'impasto si gonfia e cuoce in brevissimo tempo. A piacere è possibile riporre un po' di parmiggiano grattugiato sulla pasta prima di friggerla, quindi richiuderla su stessa premendo leggermente i lembi, ed ottenere così mini calzoncini fritti al gusto di parmigiano. Su alcune riviste di cucina la ricetta prevede anche 1 cubetto di lievito di birra fresco per ogni 500 gr. di farina. In questo caso dovrete far lievitare l'impasto per almeno un'ora e mezza. La ricetta originale Emiliana è senza lievito.


mercoledì 5 dicembre 2007

05.12.07 Naufrago

Purtroppo anche questo capita sulla spiaggia di Beira!
Oggi mentre camminavamo romanticamente al tramonto, ci siamo imbattuti in un naufrago in fin di vita sul bagnasciuga; fortunatamente siamo arrivati in tempo e siamo riusciti a salvarlo, ma purtroppo sembra che abbia perso la memoria e non si ricordi più come si chiama e dove abita.
Chiunque lo riconoscesse è pregato di scrivermi nel commento a questo Post.
Aspettiamo notizie, grazie della collaborazione.
Gianluca e Julia


05.12.07 Previsioni??

...questa mattina ci ha svegliati una pioggia torrenziale, vento fortissimo...
...a mezzogiorno sembrava la classica giornata uggiosa di un autunno milanese...
...nel pomeriggio sole con tanto di tramonto sulla spiaggia deserta!...

sabato 1 dicembre 2007

01.12.07 Beira HIV/AIDS Day

Ritrovo alle 8. Il sole già alto e caldo. Pedalata in bici per arrivare al ritrovo, già sudati. Nella piazza, in attesa di cominciare, qualche centinaio di persone, per gli organizzatori ... qualche decina per la questura (!). Ogni gruppo con una propria maglietta, che poi abbiamo scoperto essere un ottimo incentivo per richiamare gente. Già si vedono danze e canti, bella atmosfera. Qualcuno grida in un megafono, nessuno capisce, ma si parte. Dopo pochi metri già fermi; alcuni stoici resistono sotto il sole impietoso, la maggior parte cerca riparo sotto i pochi spogli alberi sul lato della strada. Tutti i bianchi (tra cui io) ne approfittano per fare qualche foto: turisti giapponesi davanti al Duomo di Milano. Magliette già pezzate, si riparte. Il corteo procede, ritmo serrato, forse gli organizzatori devono recuperare il tempo perso. Fatichiamo a tenere il ritmo, rallentati dalla bici che ci portiamo dietro. Ai lati della strada gli spettatori: bambini incuriositi, donne divertite, uomini scettici. Una piccolissima parte della città a sfilare, tutti gli altri alle prese con un qualunque sabato di sole a Beira, Mozambico.
Si arriva velocemente a destinazione: Casa della Cultura. La gente si dispone ai lati del cortile, sotto gi alberi. Il microfono annuncia il programma: ballerini, cantanti, attori. Alcuni resistono sotto il palco improvvisato, la maggior parte desiste, noi compresi; si torna a casa, altra mezz'ora di bicicletta sotto il sole a picco.
Bilancio della mattinata? Ustioni sulle braccia, mal di testa e una probabile insolazione...