martedì 11 dicembre 2007

11.12.07 Vertice di Lisbona 5

L'Africa non si piega all'Unione europea
Il summit euro-africano a Lisbona misura la frattura: i leader africani chiedono rispetto e autonomia, gli europei solo accordi commerciali. In mezzo un alibi di nome Mugabe
Stefano Liberti
Inviato a Lisbona

«Un summit tra pari». Con questa dichiarazione di intenti, che suonava come excusatio non petita, il premier portoghese José Socrates ha aperto ieri mattina i lavori del summit euro-africano di Lisbona. Orientato a creare una «nuova partnership strategica» tra i due continenti, secondo le parole altisonanti di vari responsabili europei (dal presidente della Commissione José Manuel Barroso al commissario allo sviluppo Louis Michel), il vertice ha visto sfilare ieri nelle sessioni plenarie più di 70 capi di stato e di governo, che si sono confrontati e scontrati su diversi temi, dall'immigrazione al cambiamento climatico, dalla sicurezza ai famigerati Accordi di partenariato economico (Epa), di cui la Commissione chiede ai paesi africani la firma entro il 31 dicembre. Fra i leader, inavvicinabile alle telecamere e ai giornalisti, anche Robert Mugabe, l'83enne capo di stato dello Zimbabwe la cui presenza aveva messo in forse fino all'ultimo la tenuta del vertice. Mugabe è stato invitato, nonostante la minaccia di boicottaggio da parte della Gran Bretagna, che ha un contenzioso aperto con Harare dal 2001, quando il leader zimbabwano ha espropriato le proprietà dei farmer bianchi del paese. Londra ha incassato la sconfitta diplomatica inviando una delegazione di profilo bassissimo, guidata da una rappresentante della Camera dei lord. Mugabe, dal canto suo, finora non si è fatto notare, anche se la sua ombra è planata pesantemente sul vertice, scavando una profonda distanza tra gli europei (che, con la relazione della cancelliera tedesca Angela Merkel, hanno condannato la «situazione dei diritti umani in Zimbabwe, che nuoce all'immagine di una nuova Africa») e i leader africani (che considerano in grande maggioranza il caso Zimbabwe un problema bilaterale tra Harare e Londra). Ma la distanza non si è misurata solo rispetto al caso Mugabe. In diversi interventi, i leader africani hanno voluto affermare la propria autonomia e rivendicare un ruolo per il continente che non deve essere necessariamente quello auspicato dagli europei. Così il presidente della commissione dell'Unione Africana, Alpha Oumar Konaré, ha insistito in un discorso appassionato sul fatto che «l'Africa non ha bisogno di elemosina, ma di una partnership seria». Ha poi elencato in modo puntiglioso tutti i vertici bilaterali a cui l'Unione africana ha partecipato nell'ultimo anno o parteciperà nei prossimi mesi (da quello iper-mediatizzato di Pechino del novembre 2006 a quello Africa-America Latina di Caracas, a quello Africa-Giappone nel 2008, a quello Africa-India, a un altro ancora Africa-Oceania), in modo da far capire ai leader del Vecchio continente che, se rimangono nel complesso i principali partner commerciali dell'Africa, gli africani non hanno problemi né difficoltà a rivolgersi altrove. Konaré ha saputo toccare un tema a cui gli europei sono abbastanza sensibili: non è un segreto per nessuno che il summit, rimandato per anni proprio sul caso Zimbabwe, quest'anno si sia tenuto perché l'Europa non vuole perdere ulteriore terreno di fronte alla tumultuosa avanzata della Cina. L'ex presidente maliano ha poi concluso il suo discorso lanciando un'ultima frecciata agli ospiti europei e rivendicando un modello di sviluppo africano, «che non deve essere basato sulla rincorsa di modelli esterni».Un punto ripreso, sia pur in toni estremamente diplomatici, dal presidente del Ghana John Kufuor: «Per 500 anni - ha detto il presidente di turno dell'Unione Africana - le relazioni tra i nostri due continenti non sono state felici. Questo vertice è importante per correggere queste ingiustizie della storia». Di ingiustizie della storia aveva parlato già il giorno prima il leader libico Muammar Gheddafi che, in una conferenza all'università, aveva sollevato il problema degli indennizzi coloniali. «Le ricchezze sottratte ai popoli colonizzati devono essere restituite», aveva affermato la guida della Jamahiriya. Ma l'elemento di maggior frizione tra i due blocchi sono stati proprio gli Accordi di partenariato economico, un aspetto su cui alcuni stati africani non vogliono transigere. «L'Ue deve capire che l'Africa non è d'accordo con gli Epa», ha dichiarato il presidente senegalese Abdoulaye Wade, che avrebbe anche avuto una diatriba in proposito in una sessione a porte chiuse con Barroso. «Gli africani sanno bene che non possono costituire una zona di libero scambio paritaria con l'Unione europea. Bisogna essere realisti e capire che esiste un'asimmetria di fondo tra le due regioni», ha aggiunto. Le sue parole hanno riecheggiato quelle pronunciate in mattinata da Konaré, che ha denunciato il forcing degli europei nei negoziati ed esortato a «prendere il tempo necessario per concludere accordi giusti e rassicuranti».


La corsa della Cina

Se l'Unione Europea, nel suo complesso, rimane il principale partner commerciale dell'Africa, l'avanzata cinese a sud del Mediterraneo appare impetuosa, sia nei numeri che nella velocità.Nel 2006, circa 800 società cinesi hanno investito un miliardo di dollari in Africa stabilendo 480 joint-ventures. Circa 82mila lavoratori cinesi sono stati recensiti in Africa solo l'anno scorso. Ultimo investimento in ordine di tempo, ma non di importanza, l'acquisto per 5,8 miliardi di dollari da parte di una banca cinese del 20 per cento della Standard Bank sudafricana, principale banca del continente. Il volume commerciale cinese in Africa (40 miliardi di dollari) è ancora indietro rispetto a quello dell'Ue (300 miliardi di euro), ma basta confrontare i dati di crescita per misurare l'ampiezza dell'avanzata di Pechino: dal 2000, l'Unione eruopea ha registrato un tasso di crescita degli scambi con l'Africa del 50 per cento, a fronte del 400 per cento della Cina. Secondo le previsioni di vari analisti, il commercio cinese in Africa dovrebbe raddoppiare e raggiungere i 100 miliardi di dollari entro la fine del decennio, rimanendo ancora indietro all'Ue nel suo complesso ma superando sia gli Stati uniti che la Francia e diventando quindi il primo partner commerciale nazionale. Le linee di credito aperte da Pechino, i prestiti a tasso agevolato, gli investimenti nelle infrastrutture, la strategia dell'«Oil-for-aid» (con cui offre denaro fresco in cambio di petrolio e altre materie prime), la non ingerenza negli affari interni, rendono Pechino un partner molto interessante per l'Africa. Oggi la Repubblica popolare importa un terzo del proprio greggio dall'Africa, acquisendo due terzi del petrolio estratto in Sudan e un quarto di quello prodotto in Angola. In entrambi questi paesi, come in molti altri, ha investito nelle infrastrutture, costruendo oleodotti e riparando strade e ferrovie. A favorire la Cina è anche la velocità delle sue decisioni: basti pensare che negli ultimi cinque anni ha firmato in Africa 40 accordi bilaterali di libero commercio. Senza contare che la crescita vertiginosa della Cina e il suo passato di paese in via di sviluppo la rendono un modello per molti paesi africani, che guardano invece con sospetto i paesi europei per gli antichi legami coloniali.



«Un partenariato che ci porta al baratro»

Nd
iogu Fall, presidente del Roppa, attacca gli accordi che l'Ue vuole imporre ai paesi Acp
Stefano Liberti
Inviato a Lisbona

«Se verranno firmati, gli Accordi di partenariato economico porteranno l'Africa sull'orlo del baratro». Non usa mezze parole Ndiogu Fall, presidente del Réseau des organisations paysannes et de producteurs de l'Afrique de l'Ouest (Roppa), combattiva associazione dell'Africa occidentale, in prima fila nella lotta contro gli Epa, quegli accordi di liberalizzazione che l'Europa vorrebbe firmare con i cosiddetti paesi Acp (Africa-Caraibi-Pacifico) entro il 31 dicembre. Lo incontriamo al controvertice alternativo, che si tiene alla Facoltà di Belle Arti, in cima a una collina che si affaccia sul Tago.
Perché siete contro gli Epa?
Siamo contro gli accordi di partenariato perché impongono ai nostri mercati una competizione che non saranno mai in grado di reggere; una competizione a tutto campo, sui servizi, sui prodotti agricoli, su una serie di settori vitali per le nostre economie. Noi non abbiamo dubbi: la firma eventuale degli Epa porta l'Africa verso la catastrofe.
Cosa pensa della proposta europea di una firma parziale di questi accordi, che riguardi solo alcuni settori?
Penso che la Commissione europea fa un discorso ipocrita. Dopo aver incassato i dubbi di vari paesi, parla ora di un accordo minimo, che non contempli i servizi. Tiene tuttavia ferma la necessità di liberalizzare il commercio, che per noi è il punto principale. Al massimo, propone di salvaguardare un numero definito di prodotti. Noi questo approccio lo respingiamo, anche perché è palesemente contraddittorio: l'Unione europea si è formata grazie a un formidabile processo di integrazione che è passato per una forte protezione dei propri mercati. E ora chiede a noi di svilupparci liberalizzando i nostri mercati.
Quindi voi opponete alla spinta liberalizzatrice dell'Ue una maggiore chiusura dei vostri mercati?
Noi non siamo per principio contro la liberalizzazione. Siamo per un approccio selettivo. Riteniamo che alcuni prodotti importanti per lo sviluppo debbano essere protetti, perché dalla loro produzione dipende l'esistenza di milioni di persone. Non possiamo permetterci la concorrenza dell'Ue su prodotti come le patate, il riso, altri beni ortofrutticoli. Su altri settori - le infrastrutture, il sistema sanitario, i trasporti - siamo disposti a discutere.
Se i paesi della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale (Cedeao) firmano gli Epa, quali conseguenze ci saranno?
In tal caso assisteranno alla rivolta delle loro popolazioni. Io ne sono certo: ci sarà una vera e propria insurrezione popolare. Il grado di sensibilizzazione su questi temi in Africa occidentale è molto elevato e i governanti lo sanno. Nella Cedeao ci sono 45 milioni di piccoli agricoltori. Immaginate se scendono tutti in piazza contro il governo.
Cosa pensa del vertice euro-africano che si tiene in questi giorni qui a Lisbona?
E' una grande farsa. L'Europa sostiene di voler stabilire una strategia agricola comune, ma in realtà vuole una cosa sola: la liberalizzazione dei mercati. Il commissario al commercio Peter Mandelson utilizza ogni mezzo in suo possesso per dividere gli africani, per spezzare il fronte comune che noi stiamo creando a partire da una sensibilizzazione dal basso. Questo vertice ha un unico obiettivo: distrarre le opinioni pubbliche, europea ed africana, dalle reali poste in gioco. Affermare di voler costruire una nuova partnership, imponendo al contempo accordi che porteranno l'Africa verso la catastrofe, è nulla più che una presa in giro.
Molti leader africani - tra cui il presidente senegalese Abdoulaye Wade e il presidente della commissione africana Alpha Oumar Konaré - si sono pronunciati contro gli Epa. Cosa pensate di queste esternazioni? Si sta creando un fronte comune tra governanti e società civili?
I governanti sono costretti ad ascoltarci. Wade sa benissimo che se firma gli Epa il giorno dopo Dakar è messa a ferro e fuoco. Le sue parole sono state sagge e noi le condividiamo: la firma degli Epa è in contrasto con gli interessi africani. Detto questo, noi non abbassiamo la guardia. La nostra fiducia nei confronti dei governanti resta limitata. Bisogna mantenere una pressione sociale alta per evitare che si facciano convincere dai negoziatori europei.

www.ilmanifesto.it

Nessun commento: