L'Africa non si piega all'Unione europea
Il summit euro-africano a Lisbona misura la frattura: i leader africani chiedono rispetto e autonomia, gli europei solo accordi commerciali. In mezzo un alibi di nome Mugabe
Stefano Liberti
Inviato a Lisbona
La corsa della Cina
Se l'Unione Europea, nel suo complesso, rimane il principale partner commerciale dell'Africa, l'avanzata cinese a sud del Mediterraneo appare impetuosa, sia nei numeri che nella velocità.Nel 2006, circa 800 società cinesi hanno investito un miliardo di dollari in Africa stabilendo 480 joint-ventures. Circa 82mila lavoratori cinesi sono stati recensiti in Africa solo l'anno scorso. Ultimo investimento in ordine di tempo, ma non di importanza, l'acquisto per 5,8 miliardi di dollari da parte di una banca cinese del 20 per cento della Standard Bank sudafricana, principale banca del continente. Il volume commerciale cinese in Africa (40 miliardi di dollari) è ancora indietro rispetto a quello dell'Ue (300 miliardi di euro), ma basta confrontare i dati di crescita per misurare l'ampiezza dell'avanzata di Pechino: dal 2000, l'Unione eruopea ha registrato un tasso di crescita degli scambi con l'Africa del 50 per cento, a fronte del 400 per cento della Cina. Secondo le previsioni di vari analisti, il commercio cinese in Africa dovrebbe raddoppiare e raggiungere i 100 miliardi di dollari entro la fine del decennio, rimanendo ancora indietro all'Ue nel suo complesso ma superando sia gli Stati uniti che la Francia e diventando quindi il primo partner commerciale nazionale. Le linee di credito aperte da Pechino, i prestiti a tasso agevolato, gli investimenti nelle infrastrutture, la strategia dell'«Oil-for-aid» (con cui offre denaro fresco in cambio di petrolio e altre materie prime), la non ingerenza negli affari interni, rendono Pechino un partner molto interessante per l'Africa. Oggi la Repubblica popolare importa un terzo del proprio greggio dall'Africa, acquisendo due terzi del petrolio estratto in Sudan e un quarto di quello prodotto in Angola. In entrambi questi paesi, come in molti altri, ha investito nelle infrastrutture, costruendo oleodotti e riparando strade e ferrovie. A favorire la Cina è anche la velocità delle sue decisioni: basti pensare che negli ultimi cinque anni ha firmato in Africa 40 accordi bilaterali di libero commercio. Senza contare che la crescita vertiginosa della Cina e il suo passato di paese in via di sviluppo la rendono un modello per molti paesi africani, che guardano invece con sospetto i paesi europei per gli antichi legami coloniali.
«Un partenariato che ci porta al baratro»
Ndiogu Fall, presidente del Roppa, attacca gli accordi che l'Ue vuole imporre ai paesi Acp
Stefano Liberti
Inviato a Lisbona
Perché siete contro gli Epa?
Siamo contro gli accordi di partenariato perché impongono ai nostri mercati una competizione che non saranno mai in grado di reggere; una competizione a tutto campo, sui servizi, sui prodotti agricoli, su una serie di settori vitali per le nostre economie. Noi non abbiamo dubbi: la firma eventuale degli Epa porta l'Africa verso la catastrofe.
Cosa pensa della proposta europea di una firma parziale di questi accordi, che riguardi solo alcuni settori?
Penso che la Commissione europea fa un discorso ipocrita. Dopo aver incassato i dubbi di vari paesi, parla ora di un accordo minimo, che non contempli i servizi. Tiene tuttavia ferma la necessità di liberalizzare il commercio, che per noi è il punto principale. Al massimo, propone di salvaguardare un numero definito di prodotti. Noi questo approccio lo respingiamo, anche perché è palesemente contraddittorio: l'Unione europea si è formata grazie a un formidabile processo di integrazione che è passato per una forte protezione dei propri mercati. E ora chiede a noi di svilupparci liberalizzando i nostri mercati.
Quindi voi opponete alla spinta liberalizzatrice dell'Ue una maggiore chiusura dei vostri mercati?
Noi non siamo per principio contro la liberalizzazione. Siamo per un approccio selettivo. Riteniamo che alcuni prodotti importanti per lo sviluppo debbano essere protetti, perché dalla loro produzione dipende l'esistenza di milioni di persone. Non possiamo permetterci la concorrenza dell'Ue su prodotti come le patate, il riso, altri beni ortofrutticoli. Su altri settori - le infrastrutture, il sistema sanitario, i trasporti - siamo disposti a discutere.
Se i paesi della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale (Cedeao) firmano gli Epa, quali conseguenze ci saranno?
In tal caso assisteranno alla rivolta delle loro popolazioni. Io ne sono certo: ci sarà una vera e propria insurrezione popolare. Il grado di sensibilizzazione su questi temi in Africa occidentale è molto elevato e i governanti lo sanno. Nella Cedeao ci sono 45 milioni di piccoli agricoltori. Immaginate se scendono tutti in piazza contro il governo.
Cosa pensa del vertice euro-africano che si tiene in questi giorni qui a Lisbona?
E' una grande farsa. L'Europa sostiene di voler stabilire una strategia agricola comune, ma in realtà vuole una cosa sola: la liberalizzazione dei mercati. Il commissario al commercio Peter Mandelson utilizza ogni mezzo in suo possesso per dividere gli africani, per spezzare il fronte comune che noi stiamo creando a partire da una sensibilizzazione dal basso. Questo vertice ha un unico obiettivo: distrarre le opinioni pubbliche, europea ed africana, dalle reali poste in gioco. Affermare di voler costruire una nuova partnership, imponendo al contempo accordi che porteranno l'Africa verso la catastrofe, è nulla più che una presa in giro.
Molti leader africani - tra cui il presidente senegalese Abdoulaye Wade e il presidente della commissione africana Alpha Oumar Konaré - si sono pronunciati contro gli Epa. Cosa pensate di queste esternazioni? Si sta creando un fronte comune tra governanti e società civili?
I governanti sono costretti ad ascoltarci. Wade sa benissimo che se firma gli Epa il giorno dopo Dakar è messa a ferro e fuoco. Le sue parole sono state sagge e noi le condividiamo: la firma degli Epa è in contrasto con gli interessi africani. Detto questo, noi non abbassiamo la guardia. La nostra fiducia nei confronti dei governanti resta limitata. Bisogna mantenere una pressione sociale alta per evitare che si facciano convincere dai negoziatori europei.
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