Si terrà a Lisbona, l'8 e il 9 dicembre, il secondo vertice tra l'Unione europea e l'Unione africana. Ma questa volta, scrive il settimanale mozambicano Savana, "non per discutere di come aumentare il flusso di denaro dall'Europa all'Africa in aiuti allo sviluppo, ma per avviare un confronto politico sui problemi che riguardano sia l'Africa sia l'Europa". Anche se il dibattito prima del vertice si sta concentrando sull'eventuale partecipazione del presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, al summit si parlerà di questioni molto più pressanti: "I cambiamenti climatici, la ricerca di materie prime, le risorse energetiche, la riforma delle istituzioni internazionali (in particolare le Nazioni Unite), la sicurezza internazionale, l'emigrazione: sono problemi comuni anche se vissuti in maniera molto diversa". Rispetto al vertice del 2000 c'è però una grande novità: la Cina. Secondo Adolfo Inguane, dell'Istituto superiore di relazioni internazionali, "l'Europa è troppo preoccupata a difendere la sua secolare egemonia sul mercato africano. L'arrivo del gigante asiatico sulla scena si presenta come una minaccia". Insomma il summit di Lisbona potrà rafforzare i legami tra Europa e Africa. Perché per la prima volta saranno allo stesso livello.
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Un rapporto non più tra donatori e beneficiari ma tra pari; una strategia congiunta per raggiungere un reale 'partenariato'; un piano d’azione con precise scadenze da rispettare: sono i tre punti nei quali è suddivisa la Dichiarazione di Lisbona, il documento con il quale domenica si chiuderà in Portogallo il II vertice Africa-Europa alla presenza dei rappresentati di 53 stati africani e 27 europei. In realtà, hanno riferito alla MISNA ambienti vicini alla Farnesina, il contenuto della Dichiarazione doveva essere divulgato soltanto domenica alla fine dei lavori, ma il ministero degli Esteri egiziano ne ha dato parziale conoscenza in anticipo, a conclusione della riunione preparatoria tenuta a Sharm el-Sheikh. Il punto di maggior rilievo della Dichiarazione – concordano diversi osservatori internazionali – sarà la formulazione di un nuovo pensiero che regoli i rapporti tra i due continenti basato non più su una direttrice contribuente-assistito, ma su una base paritaria da assicurare in primo luogo con uno sforzo comune per la risoluzione dei conflitti ancora in corso in Africa. Da qui la volontà di creare un fondo comune a sostegno della stabilizzazione al quale l’Italia contribuirà con una quota di 40 milioni di euro. “Noi – dice il testo della Dichiarazione – svilupperemo un partenariato di popoli, basato sull’impegno concreto delle nostre società per ottenere risultati significativi in settori fondamentali: lo stabilimento della pace e di una robusta architettura di sicurezza in Africa, la promozione del buon governo e dei diritti dell’uomo”. Nel documento si accenna inoltre alla “creazione di un meccanismo in grado di realizzare gli obiettivi fissati e di mostrare i risultati ottenuti in occasione del prossimo vertice nel 2010”. Nel documento vengono (saggiamente) ignorate alcune polemiche minori che - grazie all' ampio spazio accordato dalla stampa internazionale - hanno accompagnato la vigilia del vertice: in particolare il tentativo del primo ministro inglese, Gordon Brown, di bloccare la partecipazione del presidente dello Zimbabwe Robert Gabriel Mugabe che, arrivato stanotte a Lisbona, aveva già ringraziato pubblicamente l’Unione Europea - che pure gli ha imposto sanzioni - “per non essere caduta nella trappola di internazionalizzare una questione bilaterale che riguarda esclusivamente Harare e Londra"; ovvero la controversa riforma agraria che ha consentito di ridistribuire la terra dei latifondi di proprietà non locale, residuo della vecchia storia coloniale. A Lisbona le polemiche dovrebbero comunque trovare poco spazio: tra i tanti temi in agenda, molti riguarderanno le varie forme di collaborazione commerciale ed economica, la pace e la sicurezza; ma si parlerà anche di diritti umani, Darfur, migranti, energia e cambiamenti climatici.
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La pace in Africa passa attraverso un ruolo sempre più decisivo dell’Unione Africana (Ua): è l’opinione dell’Unione Europea e del governo italiano che contribuirà con 40 milioni di euro alla creazione di un fondo di stabilizzazione per la pace finalizzato a potenziare proprio l’organizzazione con sede ad Addis Abeba che promuove la cooperazione tra i Paesi del continente. L’iniziativa, anticipata dall’agenzia di stampa ‘Apcom’, sarà ufficializzata nell’ambito del II vertice Africa-Europa in programma nel fine settimana a Lisbona. Puntare sulla Ua – hanno detto le fonti diplomatiche riferite dall’agenzia di stampa italiana – significa fare affidamento su una struttura in grado di rappresentare il punto di contatto, ma soprattutto il futuro del continente, sia per la capacità di gestire direttamente il destino dell’Africa sia per la capacità di instaurare rapporti di collaborazione con l’Unione Europea. Le prime aree di intervento interessate da questo potenziamento delle capacità operative della Ua saranno Corno d’Africa e Darfur, due regioni africane per le quali non è ancora stata trovata una soluzione definitiva ad anni di combattimenti e violenze. La stessa fonte ha anticipato la relazione di Romano Prodi in Portogallo: il primo ministro italiano inviterà in particolare a definire “un approccio politico continentale nei confronti dell’Africa (...) per assicurare condizioni di sicurezza considerate la base e la pre-condizione per lo sviluppo economico del continente”.
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“È ironico constatare che alla vigilia di un vertice che si suppone sul partenariato, l’Unione europea (Ue) stia facendo un’enorme pressione sui paesi in via di sviluppo per fargli firmare accordi di liberalizzazione sugli scambi commerciali che rischiano di essere dannosi per il loro sviluppo economico”: lo ha detto Amy Barry di Oxfam (Oxford committee for famine relief) confederazione di organizzazioni non governative, a poche ore dall’apertura a Lisbona (Portogallo) del II Vertice afro-europeo. Come numerose organizzazioni di società civile, produttori, sindacati o ancora della Chiesa, anche Oxfam, che sarà presente al vertice con una propria delegazione, esprime forti riserve sui vasti ‘Accordi di partenariato economico’ (Ape o Epa secondo l’acronimo inglese) che l’Unione europea aveva previsto di firmare con i paesi di Africa, Carabi, Pacifico (Acp) entro fine anno, per sostituire gli ‘Accordi di Cotonou’. La maggior parte dei negoziatori dell’Acp ha chiesto “più tempo” in modo da poter adeguare i propri mercati in vista dell’apertura alla concorrenza europea. “Molti governi africani hanno espresso preoccupazione” ricorda Barry, “ma l’Ue è inflessibile e insiste sulla scadenza. Se si firmano accordi sbagliati, molti cittadini poveri perderanno il lavoro e le spese dedicate all’educazione e alla sanità potrebbero diminuire”. Nelle ultime settimane si sono intensificate le trattative per far firmare a singoli paesi o gruppi di paesi ‘accordi quadro’ di scambi su specifici prodotti, in attesa della firma degli Ape rimandata, con alcuni, di circa un anno. Quelli che non firmeranno questi accordi ‘interinali’ saranno penalizzati a partire da gennaio con aumenti di tasse doganali all’entrata sul mercato dell’Ue. I negoziati sugli Ape saranno tra gli argomenti in agenda al vertice di Lisbona.
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