L'Africa fa gola all'Ue, e Mugabe sbarca a Lisbona
Vertice euro-africano, Londra boicotta perché c'è il presidente dello Zimbabwe. Gli altri dell'Ue sperano di contrastare l'influenza cinese nel Continente nero
Stefano Liberti Inviato a Lisbona
Settanta capi di stato e di governo, delegazioni ipertrofiche, hotel stracolmi e una tenda beduina allestita all'interno del Forte de Sao Juliao de Barra per ospitare il leader libico Muammar Gheddafi, arrivato già l'altro ieri, in anticipo su tutti gli altri. Si apre oggi a Lisbona il secondo vertice euro-africano, che dovrebbe inaugurare un «nuovo capitolo nelle relazioni tra i due continenti», come ha dichiarato solennemente da Bruxelles il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso. Un consesso che la presidenza di turno portoghese ha voluto tenere a tutti i costi, nonostante le opposizioni e i dubbi sollevati da alcuni paesi membri - in primis la Gran Bretagna - per la presenza del capo di stato dello Zimbabwe Robert Mugabe, accusato di violazioni dei diritti umani e ostracizzato di fatto dalla Comunità internazionale, soprattutto in Occidente. Dall'incontro del Cairo del 2000, primo e unico summit euro-africano tenutosi finora, tutti i tentativi di ripetere l'esperienza si erano arenati proprio sul problema Mugabe: i britannici non ne volevano sapere di sedere allo stesso tavolo dell'anziano leader, che accusano di essere un feroce dittatore; i suoi omologhi africani non potevano accettare che un capo di stato legittimo di uno stato sovrano non partecipasse per un veto posto dall'ex potenza coloniale. Quest'anno, la questione Mugabe è stata aggirata: il presidente zimbabwano è stato invitato, nonostante il formale divieto di viaggiare all'interno dell'Ue. È arrivato nella capitale portoghese e tutto lascia pensare che farà un discorso dai toni infuocati. Il premier britannico Gordon Brown ha boicottato l'incontro, inviando un membro della camera dei lord in veste di «osservatore». Tutti gli altri paesi sono invece rappresentati da delegazioni di alto livello, a voler significare l'interesse economico e politico per un continente che sta acquisendo negli ultimi tempi una crescente importanza geo-strategica. Il ricordo del summit tenutosi l'anno scorso a Pechino, quando 48 capi di stati africani (quelli dei paesi che riconoscono la Cina popolare) sono stati ricevuti in pompa magna dal presidente Hu Jintao e sono tornati a casa con contratti, prestiti e promesse di investimento per milioni di dollari ha spinto l'Europa a farsi sentire. L'Unione europea (Ue), che sta perdendo consistenti fette di mercato e influenza politica a sud del Mediterraneo, ha deciso che questo summit doveva farsi, come ultima chance per contrastare l'avanzata cinese. E la penetrazione di Pechino in Africa sarà uno dei temi centrali. Nella sua «strategia globale per l'Africa», l'Ue pone l'accento su un nuovo partenariato strategico, una relazione che vada al di là dei vecchi schemi. «L'Europa deve guardare con occhi nuovi al continente africano», ha detto il commissario allo sviluppo Louis Michel. Perché i vecchi schemi sono stati fatti saltare da Pechino, la cui aggressiva politica di penetrazione propone di fatto un nuovo competitor nel mercato africano, da sempre ridotto a terreno di conquista delle ex potenze coloniali. L'arrivo della Cina fornisce di fatto ai paesi africani un nuovo soggetto a cui vendere le proprie risorse, garantendo loro maggiori margini di negoziato. L'Unione Europea, che critica l'approccio cinese per la sua scarsa attenzione per i diritti umani, vuole proporre una nuova partnership. Ma quali sono nel concreto i punti di questa nuova politica, per un continente che non ne ha mai avuta una propria rispetto all'Africa? A leggere i documenti già preparati per la chiusura del vertice, sembra che molte delle questioni in agenda si risolveranno con parole di circostanza sull'importanza di una nuova amicizia i cui contorni rimarranno poco definiti. Eccetto che su un punto: il delicato capitolo degli accordi di partenariato economico, quei famosi «Epa» che prevedono la liberalizzazione totale delle merci e dei servizi, in sostituzione dei vecchi accordi di Cotonou. L'Organizzazione mondiale del commercio vuole che si firmino entro il 31 dicembre. Le organizzazioni di produttori e le società civili di vari paesi africani si oppongono. Bruxelles preme perché si rispetti la scadenza. Molte Ong impegnate in Africa - fra cui Oxfam e Actionaid - sottolineano il paradosso lampante: quello di un vertice di partenariato che si apre all'insegna di pressioni su uno dei partner per fargli firmare accordi commerciali che rischiano di essere dannosi per il suo sviluppo economico.
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