venerdì 11 febbraio 2011

Haiti - 24

un interessante confronto culturale già osservato in precedenza in mozambico.
anche qui ad haiti ho trovato nelle persone un forte senso della gerarchia. un assoluto rispetto dei ruoli. è inconcepibile svolgere compiti non previsti dal proprio "profilo". non ho mai visto un medico haitiano, uno dei miei colleghi, mettersi a spostare letti per sistemare il reparto. o aiutare a scaricare casse di medicinali dal camion. o spostare le casse per organizzare il deposito della farmacia. io lo faccio. se non sono occupato con i pazienti e c'è qualcosa da fare per aiutare, perchè no? non ho grossi problemi. ma generalmente il personale mi guarda come se fossi un po' fuori di testa. e quando chiedo aiuto a qualche collega medico, per esempio per spostare un letto da una stanza all'altra, noto sempre un po' di reticenza. come se fosse qualcosa di strano, fuori dall'ordinario, inopportuno. certo, poi lo fanno. ma ancora una volta per il rispetto della gerarchia. io sono il "datore di lavoro", il supervisore, quindi il capo. o come dicono qui (e come dicevano in Mozambico), il patron!
e non vale solo per i medici. anche gli addetti al carico/scarico rimangono un po' stupiti e disorientati. quello che per me è un semplice gesto di collaborazione, in realtà stravolge l'ordine delle cose. confonde il rigido schema gerarchico che qui è estremamente importante.
pensando di aiutare, li mettiamo in difficoltà. - se il medico si mette a scaricare pesi, a me cosa resta da fare?-
mostrando di poter fare anche il lavoro degli altri è come se non ne riconoscessimo il valore.
il rischio che si corre quando si entra in contatto con culture differenti.
dare per scontato che il nostro approccio alle cose sia universalmente riconosciuto.
o peggio ancora avere la presunzione che il nostro modo di vivere sia quello giusto, il migliore, quello da insegnare ai "popoli inferiori".
pericoloso.

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