poco tempo fa siamo andati nell'ospedale della città per verificare la possibilità di trasferci il nostro centro una volta risolta la fase più acuta dell'epidemia.
arriviamo davanti all'ospedale. scendiamo dai gipponi. magliette e gilet splendenti e logheggianti.
ci dirigiamo alla piccola palazzina segnalataci dal direttore. un gruppetto di pazienti ci osserva con circospezione. ci apre il cancello un vecchio custode che tenta qualche parola in inglese. rispondo in creolo. entriamo nella sala. senza perdere tempo in chiacchere iniziamo l'ispezione.
tiriamo fuori le macchine fotografiche. scatti a ripetizione. bindella alla mano iniziamo a prendere le misure. ci immaginiamo come organizzare il futuro centro.
qui mettiamo questo
lì si può mettere quello
questo lo spostiamo
questo muro lo tiriamo giù
queste colonne le rinforziamo.
grandi gesti accompagnano la foga costruttrice.
il linguaggio non aiuta la comprensione del custode che ci guarda come fossimo marziani (e forse lo siamo davvero). annotiamo tutto nei quaderni. salutiamo e ce ne andiamo con una certa fretta.
appena usciamo e siamo nel cortile interno dell'ospedale rivivo la scena mentalmente. mi sembra tutto un po' surreale. mi ricorda la scena del film "amici miei", la zingarata della costruzione della autostrada.
non riesco a trattenere una forte risata.
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