O patrão precisa de alguma coisa?
Posso ajudar o patrão?
Como esta o patrão?
Desculpa incomodar o patrão!
Patrão tenho uma preocupação.
Esempi di quello che ho sentito appena sono arrivato in Mozambico.
O patrão di qua, o patrão di là…
…ma u’cazz’iè ‘stu patrau?...pensavo i primi giorni!
Poi ho capito che ero io! Allora ho chiesto ad un ragazzo al mercato:
-Ma perché continui a chiamarmi patrão, io non sono patrão di nessuno-
-Patrão è chi ha i soldi, e tu hai i soldi-
-Touché!-
Allora mi sono rassegnato e ho tentato di abituarmici, anche se è un’espressione che non mi piace e che mi crea sempre un po’ di disagio. Ne parla anche lo scrittore mozambicano Mia Couto, nel saggio “Os sete sapatos sujos”, definendola un’eredità del periodo coloniale portoghese, di cui il popolo mozambicano non è ancora riuscito a liberarsi.
“La de-responsabilizzazione è una delle più gravi stigmate che pesa su di noi africani, da Nord a Sud. Ci sono quelli che dicono che si tratta di un’eredità della schiavitù, del tempo in cui non si era padroni di se stessi. Il padrone, molte volte distante e invisibile, era responsabile per il nostro destino. O per la mancanza di destino. Oggi, nemmeno simbolicamente, uccidiamo l’antico padrone. Una delle forme di cortesia che più rapidamente sorse da dieci anni a questa parte fu la parola “patrão”. Fu come se non fosse mai realmente morto, come se aspettasse una opportunità storica per risorgere nel nostro quotidiano. Si può incolpare qualcuno di questo risorgimento? No. Ma noi stiamo creando una società che produce disuguaglianze e che riproduce relazioni di potere che credevamo fossero già sotterrate.”
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