"Più immigrati, più crimini". Dopo i gravi fatti di gennaio a Rosarno, il governo di Roma è sbarcato in Calabria. Annuncia grandi misure, per ora sulla carta, contro la ‘Ndrangheta (la parte difficile del problema) ma soprattutto - e subito - "pugno duro all'‘immigrazione incontrollata troppo a lungo tollerata" come detto dal ministro leghista Maroni, nel commentare a caldo la cacciata dei migranti dal paesone calabrese. Il premier italiano ha perso l'ennesima buona occasione per stare zitto. Forse nell' infelice allocuzione per ‘immigrati' intendeva i clandestini, dimenticando che la clandestinità come reato è una invenzione- del 2009 - dei suoi alleati della Lega-xenofoba-Nord. Ma afferma per di più dati smentiti dalle statistiche; per il sociologo MaurizioBarbagli "dalla creazione del reato di clandestinità, che secondo i leghisti avrebbe cancellato il sottobosco di microdelitti legati all'immigrazione sans papier, il più grave di essi, lo spaccio, è cresciuto in incidenza su tutti i reati dal 32 al 34 per cento del totale". Che dire del territorio che d'ora in poi sarà 'l'Alabama italiana', la Piana di Gioja Tauro? "Negli ultimi 15 anni, con una massiccia presenza di immigrati, alcuni senza documenti - spiega il pm del tribunale di Palmi Giuseppe Creazzo, competente per territorio - non si sono mai, nemmeno una volta, registrate denunce a carico di migranti per i reati di furto con scasso, violenza sessuale, tentata violenza sulle donne, prostituzione e furto semplice, ossia i banali scippi". Questo in un territorio dove l'incidenza degli stranieri sulla popolazione secondo la Cgil è del 18 per cento, ossia la quarta zona a maggiore densità di migranti in Italia dopo Prato Brescia Sassuolo e prima di grandi città come Genova Milano.
Non solo; le incaute parole dei governanti italiani hanno causato sdegno in ambienti di solito vicini alla Destra italiana: in Vaticano. La conferenza episcopale ha subito esposto propri dati in base ai quali, per i vescovi "non c'è nessuna correlazione tra l'incidenza dei crimini e la presenza di migranti, regolari o irregolari". "Non esiste differenza tra il tasso di criminalità dei migranti e quello degli italiani" ribadisce monsignor Crociata a capo della Cei: 1,2 per cento dei regolari contro un tasso di delinquenza dello 0,75 per cento per gli italiani, ma che nelle persone sotto i 40 diventa inferiore per i migranti rispetto agli italiani. Evidentemente a furia di stare qui, gli immigrati imparano la lezione e cominciano a delinquere... E questo discorso come si applica a Rosarno? Gli italiani hanno reagito a presunti abusi dei migranti per razzismo, o per mentalità criminosa, atteso che i Migranti in quella zona delinquono sensibilmente meno dei calabresi? E soprattutto "sono gli unici a ribellarsi alla Mafia", ricorda Antonello Mangano, autore di ‘Gli africani salveranno la Calabria, (forse l'Italia intera)', titolo sottoscritto da uno studioso dell'illegalità meridionale, come Roberto Saviano.
"Nella Piana di Gioja - spiega Antonio Calogero, Cgil locale - la subcultura ‘ndranghetista è dominante, e il problema con la rivolta dei migranti è stato di ordine pubblico, che i mafiosi non potevano vedersi sfuggire di mano. In Calabria è scontato dire che lo Stato assente, va ribadito che solo la ‘ndrangheta fa politica; fare politica vuol dire cercare il consenso della popolazione; per cercare consenso i mafiosi non possono stare indietro rispetto alle mutate percezioni del popolo, e mandare messaggi rassicuranti. Con la cacciata dei migranti hanno voluto dire "Tranquilli qui comandiamo noi", e soprattutto recepire un malessere diffuso verso i migranti, in gran parte disoccupati". " E non solo riaffermazione del dominio - interviene Gigi Genco, segretario Cgil Calabria - la ‘Ndrina funziona anche da regolatore del mercato del lavoro: in città troppi immigrati, grazie alla Bossi-Fini e al reato di clandestinità, non venivano più assunti dai contadini. Tutto in nero. In più sono arrivati a centinaia dal Nord, dove l'industria in crisi caccia per primi i migranti. Troppi e troppo poveri, pronti a esplodere. I calabresi percepivano un disagio foriero di tempesta. La ‘ndrangheta si propone come mediatore sociale per interpretare un bisogno dei rosarnesi: ha detto con le intimidazioni dei fucili e poi con la caccia al Nero: "Andatevene via, non ci servite più nei campi, questa non è casa vostra".
"I neri stanno già tornando nelle campagne della Piana, e l'anno prossimo saranno di nuovo tanti - conclude Calogero - l'unica è provare a combattere il fenomeno del ‘nero', inteso come lavoro: finché si lavorerà in maniera irregolare, verranno più braccianti del necessario, a vivere in condizioni di degrado; bisogna rendere più appetibili i ricavi ai contadini, con la filiera corta: basta intermediari, dal produttore al consumatore, (come nei farmer market, quindi un modo per combattere le Mafie, ndr). Finché il prezzo pagato per chilo di arance, come detto e ridetto, è di 4 centisimi/chilo, ai coltivatori non conviene raccogliere e i migranti rimangono a ciondolare. E il ministro del lavoro deve disporre controlli a tappeto, per essere sicuri che ogni migrante abbia un regolare contratto stagionale e venga pagato il giusto: 60 euro al giorno, non 25, di cui 5 da versare al caporale".
Gianluca Ursini
www.peacereporter.net
sabato 30 gennaio 2010
Gli schiavi invisibili dell'Italia
Dal sito Italia dall'estero...come ci vede la stampa estera
Gli schiavi invisibili dell’Italia
Articolo pubblicato giovedì 21 gennaio 2010 in Svezia.
La dura politica anti-immigrazione dell’Italia crea quella forza lavoro nera e sottoretribuita che il sistema sanitario e l’industria di agrumi invocano a gran voce. Un nuovo libro getta una luce diversa sulla guerra italiana contro gli illegali. Negli ultimi tempi, l’Italia ha fortemente inasprito la sua politica di immigrazione e ha introdotto dure pene per gli immigrati presenti sul suolo italiano senza permesso di soggiorno e senza documenti di identità. L’Italia è anche, tra i paesi europei più sviluppati, quello in cui il lavoro nero è più diffuso e in cui sono soprattutto gli immigrati illegali e senza documenti ad essere utilizzati come forza lavoro in nero. Ecco come stanno le cose. Ma si tratta di due fenomeni completamente separati o esiste un qualche tipo di relazione tra loro?
Uno dei vantaggi del nuovo libro di Marco Rovelli, ”Servi”, è che getta nuova luce su tale questione. Lo scrittore punta i riflettori proprio su quei settori dell’economia italiana in cui il lavoro nero è più comune: l’agricoltura, certi settori industriali e l’edilizia. Queste attività, e soprattutto le imprese molto piccole dei vari settori, le micro-imprese, hanno infatti – in parte come conseguenza della concorrenza globale – acuto bisogno di lavoratori che si accontentino di stipendi da fame, accettino di lavorare senza alcun contratto né diritti riconosciuti e che non protestino mai nel caso in cui a volte lo stipendio non venga pagato o l’ambiente di lavoro sia pericoloso e insalubre. Si dice spesso che la forza lavoro interna dei paesi industrializzati come l’Italia si sia “impigrita” troppo per svolgere determinate mansioni. Ma non è vero. Non è quello il punto dolente. Ci sono invece pochi cittadini italiani che accettano le condizioni di semi-schiavitù che gli immigrati illegali, causa l’incertezza della loro situazione, si trovano costretti a sopportare. L’alternativa di questi potenziali schiavi è di essere condannati a pesanti multe, finire in custodia preventiva in speciali centri per poi essere sbattuti fuori dal paese e ritornare a quella povertà e/o quell’oppressione da cui un giorno erano fuggiti. In una situazione del genere, alle multe, alla prigione e all’espulsione i più preferiscono nonostante tutto la schiavitù. Marco Rovelli — che è anche insegnante di storia e filosofia ed è conosciuto come cantante e paroliere, prima nel gruppo Les Anarchistes e adesso come solista – capovolge le prospettive e mostra che la xenofobia e la sempre più dura politica anti-immigrazione “producono” proprio quella forza lavoro che alcuni settori dell’economia italiana reclamano. L’uso nel titolo della parola “Servi” non costituisce alcuna esagerazione E che il libro si intitoli “Servi” non è davvero un’esagerazione, perché qui si tratta in modo molto evidente dello sfruttamento di persone che non hanno alcuna possibilità di dire di no. Marco Rovelli ha scritto in precedenza un libro sui campi di detenzione in cui soggiornano i rifugiati senza documenti prima di essere espulsi dal paese. Si chiama “Lager italiani” ed è uscito nel 2006. Un altro dei suoi libri, “Lavorare uccide” del 2008, parla dell’enorme numero di morti sul lavoro in Italia, la maggior parte delle quali avviene ovviamente nel settore del lavoro nero e irregolare. In entrambi questi libri e nel nuovo, dal sottotitolo ”Il paese sommerso dei clandestini al lavoro”, l’ambizione di Rovelli è di dare un volto e una voce a quelle persone che altrimenti si manifestano solo come anonime cifre di statistiche o di notizie telegrafiche. Mette in risalto gli individui, gli fa raccontare la loro situazione e il loro passato, rende le loro esperienze e la loro sofferenza così tangibili che per il lettore è impossibile dimenticare che sono persone, con destini e personalità individuali, colpite ogni volta che i nostri governi induriscono la politica di immigrazione e tolgono qualsiasi possibilità di chiedere asilo. Si potrebbe definire il libro di Rovelli come un unico lungo reportage, dalle coltivazioni di verdura e frutta dell’Italia del sud alla pulsante attività edilizia dell’area milanese, un reportage che descrive la difficoltà, o addirittura l’impossibilità, di arrivare ai responsabili dello schiavismo e del lavoro nero quando le attività, come in Italia, sono svolte spesso e volentieri sotto forma di lunghe catene di contratti e appalti in cui la criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta) costituisce una parte naturale e integrante del sistema. Ho utilizzato il concetto di immigrati ”illegali” o ”senza documenti”, ma in realtà vorrei usare la parola italiana “clandestini” (che significa “segreti” e “nascosti”), forse anche “svedesizzandola” in “klandestiner”. Rovelli afferma nel suo libro che è una parola molto migliore, perché si riferisce alla condizione di vita di quelle persone e non a come vengono definiti dai paesi in cui giungono. Sottolineando l’”umanità” dei clandestini si mostra così quanto sia disumano negare loro i diritti umani. Dunque: i clandestini, gli invisibili, gli uomini-ombra, quelli che devono sempre stare attenti e muoversi in modo da non essere scoperti o denunciati, quelli che non possono rivolgersi alle autorità se hanno problemi o emergenze. Ma che allo stesso tempo sono così importanti per la società e l’economia italiana, al punto che ci sarebbero conseguenze catastrofiche se di colpo venissero buttati fuori tutti. Se non ci fossero i clandestini, scrive Rovelli, le arance rimarrebbero sugli alberi e gli italiani non avrebbero pomodori italiani nel piatto. Per non parlare poi della cura degli anziani, dove lavoratrici in nero chiamate “badanti” (spesso clandestine di paesi dell’Europa dell’est, in molti casi con titoli di studio universitari) svolgono quel lavoro che in Svezia viene svolto da personale regolare sotto la gestione pubblica o privata. Quando il governo italiano l’estate scorsa ha inasprito la politica nei confronti dei clandestini, le reazioni in merito a tali ”badanti” sono state così forti, anche da parte di chi sostiene la Lega Nord, che si sono dovute fare eccezioni per il loro caso. Senza “badanti”, infatti, anche i vecchi genitori dei razzisti e degli xenofobi dovrebbero trascorrere i loro ultimi anni e giorni da soli, senza cure e compagnia. Per questo è stata offerta a tali lavoratori, in gran parte donne, la possibilità di registrarsi come forza lavoro regolare pagando un’imposta. Rovelli non ha paura nemmeno di affrontare la delicata questione della criminalità degli immigrati. La presenza o meno degli immigrati in Italia viene praticamente sempre discussa come un problema di sicurezza. Rovelli, col supporto delle statistiche, mostra però che gli immigrati in possesso del permesso di soggiorno non commettono più crimini degli italiani nativi. Gli stranieri sono invece in generale tantissimi nelle carceri italiane, si tratta però appunto di clandestini, immigrati senza permesso di stare nel paese. La conclusione di Rovelli è che il modo più semplice di fermare questa criminalità sarebbe quello di regolarizzare gli immigrati irregolari. Infatti, coloro che si sono integrati nella società e adesso vivono e lavorano legalmente spesso sono stati a loro volta clandestini in precedenza. E molti di quelli che vivono in questa condizione hanno precedentemente avuto un permesso di soggiorno ma non hanno poi ottenuto il rinnovo. L’eventuale tendenza criminale non va insomma cercata nella “natura” o nella “cultura” degli immigrati, ma ha piuttosto a che fare con la loro impossibile situazione nella Fortezza Europa. E allora perché non aprire loro la porta, se ne abbiamo bisogno e oltretutto già li sfruttiamo? "Servi” di Marco Rovelli è un libro importante ed essenziale, un reportage serio e ben scritto che descrive il mondo attuale così come lo vediamo e apre nuove prospettive di riflessione. Dopo aver letto il suo libro si dovrebbe anche ascoltare il suo nuovo disco “Marco Rovelli libertaria”. Io per il momento ho solo sentito la canzone “Il campo”, che mi ha davvero invogliato ad ascoltarlo tutto. Roberto Saviano e Fabrizio Gatti non sono dunque gli unici scrittori che si occupano della società italiana in modo critico e con un certo successo. A loro va aggiunto anche Marco Rovelli, e a pieno merito. Forse è ora che qualche editore svedese scopra anche i suoi lavori?
[Articolo originale "Italiens osynliga slava" di Margareta Zetterström]
Gli schiavi invisibili dell’Italia
Articolo pubblicato giovedì 21 gennaio 2010 in Svezia.
La dura politica anti-immigrazione dell’Italia crea quella forza lavoro nera e sottoretribuita che il sistema sanitario e l’industria di agrumi invocano a gran voce. Un nuovo libro getta una luce diversa sulla guerra italiana contro gli illegali. Negli ultimi tempi, l’Italia ha fortemente inasprito la sua politica di immigrazione e ha introdotto dure pene per gli immigrati presenti sul suolo italiano senza permesso di soggiorno e senza documenti di identità. L’Italia è anche, tra i paesi europei più sviluppati, quello in cui il lavoro nero è più diffuso e in cui sono soprattutto gli immigrati illegali e senza documenti ad essere utilizzati come forza lavoro in nero. Ecco come stanno le cose. Ma si tratta di due fenomeni completamente separati o esiste un qualche tipo di relazione tra loro?
Uno dei vantaggi del nuovo libro di Marco Rovelli, ”Servi”, è che getta nuova luce su tale questione. Lo scrittore punta i riflettori proprio su quei settori dell’economia italiana in cui il lavoro nero è più comune: l’agricoltura, certi settori industriali e l’edilizia. Queste attività, e soprattutto le imprese molto piccole dei vari settori, le micro-imprese, hanno infatti – in parte come conseguenza della concorrenza globale – acuto bisogno di lavoratori che si accontentino di stipendi da fame, accettino di lavorare senza alcun contratto né diritti riconosciuti e che non protestino mai nel caso in cui a volte lo stipendio non venga pagato o l’ambiente di lavoro sia pericoloso e insalubre. Si dice spesso che la forza lavoro interna dei paesi industrializzati come l’Italia si sia “impigrita” troppo per svolgere determinate mansioni. Ma non è vero. Non è quello il punto dolente. Ci sono invece pochi cittadini italiani che accettano le condizioni di semi-schiavitù che gli immigrati illegali, causa l’incertezza della loro situazione, si trovano costretti a sopportare. L’alternativa di questi potenziali schiavi è di essere condannati a pesanti multe, finire in custodia preventiva in speciali centri per poi essere sbattuti fuori dal paese e ritornare a quella povertà e/o quell’oppressione da cui un giorno erano fuggiti. In una situazione del genere, alle multe, alla prigione e all’espulsione i più preferiscono nonostante tutto la schiavitù. Marco Rovelli — che è anche insegnante di storia e filosofia ed è conosciuto come cantante e paroliere, prima nel gruppo Les Anarchistes e adesso come solista – capovolge le prospettive e mostra che la xenofobia e la sempre più dura politica anti-immigrazione “producono” proprio quella forza lavoro che alcuni settori dell’economia italiana reclamano. L’uso nel titolo della parola “Servi” non costituisce alcuna esagerazione E che il libro si intitoli “Servi” non è davvero un’esagerazione, perché qui si tratta in modo molto evidente dello sfruttamento di persone che non hanno alcuna possibilità di dire di no. Marco Rovelli ha scritto in precedenza un libro sui campi di detenzione in cui soggiornano i rifugiati senza documenti prima di essere espulsi dal paese. Si chiama “Lager italiani” ed è uscito nel 2006. Un altro dei suoi libri, “Lavorare uccide” del 2008, parla dell’enorme numero di morti sul lavoro in Italia, la maggior parte delle quali avviene ovviamente nel settore del lavoro nero e irregolare. In entrambi questi libri e nel nuovo, dal sottotitolo ”Il paese sommerso dei clandestini al lavoro”, l’ambizione di Rovelli è di dare un volto e una voce a quelle persone che altrimenti si manifestano solo come anonime cifre di statistiche o di notizie telegrafiche. Mette in risalto gli individui, gli fa raccontare la loro situazione e il loro passato, rende le loro esperienze e la loro sofferenza così tangibili che per il lettore è impossibile dimenticare che sono persone, con destini e personalità individuali, colpite ogni volta che i nostri governi induriscono la politica di immigrazione e tolgono qualsiasi possibilità di chiedere asilo. Si potrebbe definire il libro di Rovelli come un unico lungo reportage, dalle coltivazioni di verdura e frutta dell’Italia del sud alla pulsante attività edilizia dell’area milanese, un reportage che descrive la difficoltà, o addirittura l’impossibilità, di arrivare ai responsabili dello schiavismo e del lavoro nero quando le attività, come in Italia, sono svolte spesso e volentieri sotto forma di lunghe catene di contratti e appalti in cui la criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta) costituisce una parte naturale e integrante del sistema. Ho utilizzato il concetto di immigrati ”illegali” o ”senza documenti”, ma in realtà vorrei usare la parola italiana “clandestini” (che significa “segreti” e “nascosti”), forse anche “svedesizzandola” in “klandestiner”. Rovelli afferma nel suo libro che è una parola molto migliore, perché si riferisce alla condizione di vita di quelle persone e non a come vengono definiti dai paesi in cui giungono. Sottolineando l’”umanità” dei clandestini si mostra così quanto sia disumano negare loro i diritti umani. Dunque: i clandestini, gli invisibili, gli uomini-ombra, quelli che devono sempre stare attenti e muoversi in modo da non essere scoperti o denunciati, quelli che non possono rivolgersi alle autorità se hanno problemi o emergenze. Ma che allo stesso tempo sono così importanti per la società e l’economia italiana, al punto che ci sarebbero conseguenze catastrofiche se di colpo venissero buttati fuori tutti. Se non ci fossero i clandestini, scrive Rovelli, le arance rimarrebbero sugli alberi e gli italiani non avrebbero pomodori italiani nel piatto. Per non parlare poi della cura degli anziani, dove lavoratrici in nero chiamate “badanti” (spesso clandestine di paesi dell’Europa dell’est, in molti casi con titoli di studio universitari) svolgono quel lavoro che in Svezia viene svolto da personale regolare sotto la gestione pubblica o privata. Quando il governo italiano l’estate scorsa ha inasprito la politica nei confronti dei clandestini, le reazioni in merito a tali ”badanti” sono state così forti, anche da parte di chi sostiene la Lega Nord, che si sono dovute fare eccezioni per il loro caso. Senza “badanti”, infatti, anche i vecchi genitori dei razzisti e degli xenofobi dovrebbero trascorrere i loro ultimi anni e giorni da soli, senza cure e compagnia. Per questo è stata offerta a tali lavoratori, in gran parte donne, la possibilità di registrarsi come forza lavoro regolare pagando un’imposta. Rovelli non ha paura nemmeno di affrontare la delicata questione della criminalità degli immigrati. La presenza o meno degli immigrati in Italia viene praticamente sempre discussa come un problema di sicurezza. Rovelli, col supporto delle statistiche, mostra però che gli immigrati in possesso del permesso di soggiorno non commettono più crimini degli italiani nativi. Gli stranieri sono invece in generale tantissimi nelle carceri italiane, si tratta però appunto di clandestini, immigrati senza permesso di stare nel paese. La conclusione di Rovelli è che il modo più semplice di fermare questa criminalità sarebbe quello di regolarizzare gli immigrati irregolari. Infatti, coloro che si sono integrati nella società e adesso vivono e lavorano legalmente spesso sono stati a loro volta clandestini in precedenza. E molti di quelli che vivono in questa condizione hanno precedentemente avuto un permesso di soggiorno ma non hanno poi ottenuto il rinnovo. L’eventuale tendenza criminale non va insomma cercata nella “natura” o nella “cultura” degli immigrati, ma ha piuttosto a che fare con la loro impossibile situazione nella Fortezza Europa. E allora perché non aprire loro la porta, se ne abbiamo bisogno e oltretutto già li sfruttiamo? "Servi” di Marco Rovelli è un libro importante ed essenziale, un reportage serio e ben scritto che descrive il mondo attuale così come lo vediamo e apre nuove prospettive di riflessione. Dopo aver letto il suo libro si dovrebbe anche ascoltare il suo nuovo disco “Marco Rovelli libertaria”. Io per il momento ho solo sentito la canzone “Il campo”, che mi ha davvero invogliato ad ascoltarlo tutto. Roberto Saviano e Fabrizio Gatti non sono dunque gli unici scrittori che si occupano della società italiana in modo critico e con un certo successo. A loro va aggiunto anche Marco Rovelli, e a pieno merito. Forse è ora che qualche editore svedese scopra anche i suoi lavori?
[Articolo originale "Italiens osynliga slava" di Margareta Zetterström]
giovedì 28 gennaio 2010
immigrati = criminali?
Berlusconi oggi a Reggio Calabria:
"una riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali"
Tra immigrati e italiani stesso tasso di criminalità
I dati ufficiali dimostrano che l'80% delle denunce a carico di stranieri riguarda irregolari; ma anche tra questi, in quattro casi su 5 il reato contestato è l'assenza del permesso di soggiorno
ROMA - Sono i numeri a dire che gli immigrati non delinquono più degli italiani. Secondo i dati dell'Istat, il tasso di criminalità degli immigrati regolari, in Italia, è "solo leggermente più alto" di quello degli italiani (tra l'1,23% e l'1,4%, contro lo 0,75%) ed è addirittura inferiore tra le persone oltre i 40 anni. Di fatto, i dati sono "equiparabili". E' vero invece la stragrande maggioranza dei reati commessi da stranieri in Italia è opera di immigrati irregolari.
Parlano ancora le cifre ufficiali, secondo le quali il 70-80% degli stranieri denunciati sono irregolari. Anche qui, però, i dati sono da leggere con attenzione perché, sul totale delle denunce, l'87% riguarda proprio la mera condizione di clandestinità: il reato commesso da 4 stranieri su 5 denunciati riguarda insomma l'essere stati sorpresi in Italia senza permesso di soggiorno e dunque la violazione delle leggi sull'immigrazione.
In generale, dicono le statistiche, non esiste un legame fra l'aumento degli immigrati regolari e l'aumento dei reati in Italia: tra il 2001 e il 2005, ad esempio, mentre gli stranieri sono aumentati di oltre il 100%, le denunce nei loro confronti sono cresciute del 45,9%.
Al di là delle polemiche politiche, sono comunque nettamente superiori gli aspetti positivi dell'immigrazione. In Italia gli immigrati regolari, secondo i più recenti rapporti di Caritas Migrantes e Ismu, sono oltre quattro milioni e mezzo, il 7,2% della popolazione, una percentuale che supera per la prima volta la media europea (6,2%). Dal 1998 al 2008, la crescita è stata del 246% e se il trend resterà invariato, come prevede l'Istat, nel 2050 gli italiani di origine straniera saranno oltre 12 milioni.
I lavoratori stranieri sono circa due milioni e producono il 10% del Pil nazionale. I vantaggi dello Stato sono visibili da altri numeri: gli immigrati versano ogni all'Inps sette miliardi di euro e pagano al Fisco una cifra che supera i 3,2 miliardi di euro. Inoltre, ogni cento neonati in Italia, ormai più del 12% ha un almeno un genitore straniero.
www.repubblica.it
"una riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali"
Tra immigrati e italiani stesso tasso di criminalità
I dati ufficiali dimostrano che l'80% delle denunce a carico di stranieri riguarda irregolari; ma anche tra questi, in quattro casi su 5 il reato contestato è l'assenza del permesso di soggiorno
ROMA - Sono i numeri a dire che gli immigrati non delinquono più degli italiani. Secondo i dati dell'Istat, il tasso di criminalità degli immigrati regolari, in Italia, è "solo leggermente più alto" di quello degli italiani (tra l'1,23% e l'1,4%, contro lo 0,75%) ed è addirittura inferiore tra le persone oltre i 40 anni. Di fatto, i dati sono "equiparabili". E' vero invece la stragrande maggioranza dei reati commessi da stranieri in Italia è opera di immigrati irregolari.
Parlano ancora le cifre ufficiali, secondo le quali il 70-80% degli stranieri denunciati sono irregolari. Anche qui, però, i dati sono da leggere con attenzione perché, sul totale delle denunce, l'87% riguarda proprio la mera condizione di clandestinità: il reato commesso da 4 stranieri su 5 denunciati riguarda insomma l'essere stati sorpresi in Italia senza permesso di soggiorno e dunque la violazione delle leggi sull'immigrazione.
In generale, dicono le statistiche, non esiste un legame fra l'aumento degli immigrati regolari e l'aumento dei reati in Italia: tra il 2001 e il 2005, ad esempio, mentre gli stranieri sono aumentati di oltre il 100%, le denunce nei loro confronti sono cresciute del 45,9%.
Al di là delle polemiche politiche, sono comunque nettamente superiori gli aspetti positivi dell'immigrazione. In Italia gli immigrati regolari, secondo i più recenti rapporti di Caritas Migrantes e Ismu, sono oltre quattro milioni e mezzo, il 7,2% della popolazione, una percentuale che supera per la prima volta la media europea (6,2%). Dal 1998 al 2008, la crescita è stata del 246% e se il trend resterà invariato, come prevede l'Istat, nel 2050 gli italiani di origine straniera saranno oltre 12 milioni.
I lavoratori stranieri sono circa due milioni e producono il 10% del Pil nazionale. I vantaggi dello Stato sono visibili da altri numeri: gli immigrati versano ogni all'Inps sette miliardi di euro e pagano al Fisco una cifra che supera i 3,2 miliardi di euro. Inoltre, ogni cento neonati in Italia, ormai più del 12% ha un almeno un genitore straniero.
www.repubblica.it
mercoledì 27 gennaio 2010
Beh quasi...
...direi che il mio post di ieri ha quasi funzionato.
Oggi a Como ho intravisto un po' di sole.
Allora ci riprovo...
Oggi a Como ho intravisto un po' di sole.
Allora ci riprovo...
martedì 26 gennaio 2010
Si è spento il sole?
Va bene. Lo ammetto. Sono metereopatico.
E poi sono prevenuto. Mi manca Beira.
Però qui si esagera.
Sono settimane che non vedo il sole!!
Ma niente, proprio niente. Neanche una pallida macchia gialla.
Sulla testa sempre un cielo grigio, omogeneo, senza senso.
Ma dove sono finiti i colori?
Voglio i colori!!
I COLORI!!!
E poi sono prevenuto. Mi manca Beira.
Però qui si esagera.
Sono settimane che non vedo il sole!!
Ma niente, proprio niente. Neanche una pallida macchia gialla.
Sulla testa sempre un cielo grigio, omogeneo, senza senso.
Ma dove sono finiti i colori?
Voglio i colori!!
I COLORI!!!
lunedì 25 gennaio 2010
Accesso all'istruzione
In pericolo accesso all'istruzione per decine di milioni di bambini
Rischia di avere pesanti conseguenze sull’istruzione nei paesi dell’Africa sub-sahariana la crisi economico-finanziaria che ha colpito gran parte delle economie mondiali: lo afferma un rapporto dell’Unesco, ente Onu per l’istruzione, la scienza e la cultura. Secondo il documento, a causa della crisi gli investimenti nazionali a favore dell’insegnamento potrebbero essere tagliati di una cifra pari a circa quattro miliardi di euro l’anno, con effetti disastrosi sui progressi ottenuti finora. Nel 2009, secondo i ricercatori dell’Unesco, la recessione globale ha provocato una diminuzione delle entrate fiscali in 27 paesi dell’Africa sub-sahariana, il che per i sistemi scolastici nazionali significa stipendi più bassi e condizioni di lavoro peggiori per tutti gli insegnanti, con classi troppo numerose e un aumento massiccio dell’orario di lavoro per compensare i tagli di personale. “Senza un intervento adeguato – ha detto la direttrice dell’Unesco, Irina Bokava – e senza l’aiuto della comunità internazionale, saranno almeno 56 milioni i bambini che non avranno possibilità di accesso all’istruzione nei prossimi cinque anni, con gravi ripercussioni sulle opportunità di crescita economica e di progresso sociale”.
www.misna.org
Rischia di avere pesanti conseguenze sull’istruzione nei paesi dell’Africa sub-sahariana la crisi economico-finanziaria che ha colpito gran parte delle economie mondiali: lo afferma un rapporto dell’Unesco, ente Onu per l’istruzione, la scienza e la cultura. Secondo il documento, a causa della crisi gli investimenti nazionali a favore dell’insegnamento potrebbero essere tagliati di una cifra pari a circa quattro miliardi di euro l’anno, con effetti disastrosi sui progressi ottenuti finora. Nel 2009, secondo i ricercatori dell’Unesco, la recessione globale ha provocato una diminuzione delle entrate fiscali in 27 paesi dell’Africa sub-sahariana, il che per i sistemi scolastici nazionali significa stipendi più bassi e condizioni di lavoro peggiori per tutti gli insegnanti, con classi troppo numerose e un aumento massiccio dell’orario di lavoro per compensare i tagli di personale. “Senza un intervento adeguato – ha detto la direttrice dell’Unesco, Irina Bokava – e senza l’aiuto della comunità internazionale, saranno almeno 56 milioni i bambini che non avranno possibilità di accesso all’istruzione nei prossimi cinque anni, con gravi ripercussioni sulle opportunità di crescita economica e di progresso sociale”.
www.misna.org
domenica 24 gennaio 2010
Ingombranti inesistenze
Estrapolato dal Comunicato Stampa del NAGA del 2 Novembre 2009:
“Cittadini senza diritti. Rapporto Naga 2009. Ingombranti inesistenze”
I dati del rapporto del Naga sovvertono la retorica sull’immigrazione irregolare e permettono
di far luce su un universo poco conosciuto e guardato con diffidenza. I dati socio-sanitari raccolti quotidianamente dal Naga rappresentano una delle più grandi banche dati esistenti sull’immigrazione irregolare in Italia. Il rapporto, alla sua seconda edizione, analizza i dati raccolti tra il 2000 ed il 2008. Oltre 47.500 utenti per i quali sono state indagate provenienza, genere, età, stato civile e figli, permanenza, istruzione, occupazione, abitazione, e un focus dedicato al lavoro nel Paese di origine e in Italia.
“L’analisi dei dati raccolti dal Naga tra il 2000 e il 2008 permette di sfatare alcuni ’miti’ dell’immaginario comune riguardo all’immigrazione irregolare e di mettere in luce alcune tendenze nell’evoluzione della popolazione straniera senza documenti che sarebbe arduo individuare attraverso altre fonti”, affermano i ricercatori Carlo Devillanova (Università Bocconi), Francesco Fasani (University College London) e Tommaso Frattini (Università degli Studi di Milano) che hanno curato la ricerca in collaborazione con il Naga. “Complessivamente l’utenza Naga è giovane, istruita e occupata, ma relegata in occupazioni spesso saltuarie e sempre poco qualificate, e soffre di un notevole disagio abitativo” proseguono ricercatori. “Il livello di istruzione e il tasso di occupazione dei cittadini stranieri irregolari è comparabile – e in alcuni casi superiore – a quello degli italiani. Al contrario, le loro condizioni socio-abitative sono assolutamente critiche e lontanissime dagli standard italiani. Negli anni, inoltre, si è evidenziato un notevole allungamento dell’anzianità migratoria dell’utenza Naga, segno della difficoltà nel trovare canali di uscita dalla clandestinità” concludono i ricercatori.
“I dati del rapporto sovvertono la retorica sull’immigrazione irregolare in base alla quale l’equivalenza straniero > immigrato > irregolare > clandestino > delinquente è centrale e ormai divenuta senso comune” afferma Pietro Massarotto, presidente del Naga. “Il Naga, oltre all’attività di assistenza che quotidianamente presta, attraverso strumenti quali il rapporto presentato oggi si pone l’obiettivo di decostruire le false rappresentazioni che dominano il discorso sull’immigrazione e di contribuire a illuminare le biografie dei cittadini stranieri, dense di delusioni, ma anche di una sorprendente progettualità: biografie troppo spesso consegnate ad una ‘ingombrante inesistenza’ per noi inaccettabile” conclude il presidente del Naga.
Sito del NAGA
Rapporto completo NAGA 2009
Abstract del rapporto
Il Focus: migranti e lavoro
Il video di presentazione
sabato 23 gennaio 2010
Morire nel deserto
Qui di seguito un articolo della stampa olandese che ho trovato sul sito Italia dall'estero.
Inoltre segnalo due videoreportage di Fabrizio Gatti per L'Espresso:
Morire nel deserto
La nuova ondata
I rifugiati non muoiono più in mare ma nel Sahara
Articolo di Politica estera, pubblicato venerdì 15 gennaio 2010 in Olanda.
I migranti africani che vogliono raggiungere l’isola italiana di Lampedusa vengono attualmente bloccati da un accordo italo-libico, fatto per fermare i profughi. L’accordo funziona e ha il suo drammatico rovescio della medaglia nel Sahara, a Sud della Libia. Lo dimostrano le immagini scioccanti che il settimanale italiano L’Espresso ha pubblicato ieri, sotto il titolo “Morire nel deserto” .
Undici corpi disidratati giacciono sulla sabbia del deserto: sette uomini neri e quattro donne. Uno è inginocchiato in preghiera, un altro solleva le mani verso il cielo, come se volesse afferrare l’aria. Queste persone morte di sete avrebbero viaggiato a piedi. Indossano indumenti libici, il che indica che non andavano verso la Libia, ma venivano da lì.
Immagini verificate
Il video è stato ripreso il 16 marzo 2009 con un telefonino, da un viaggiatore diretto da Al Gatrun, l’ultima oasi libica, al fortino militare di Madama nel Niger. Il settimanale ha ricevuto il filmato la scorsa estate e ne ha verificato l’autenticità prima di pubblicarlo. “Così muoiono gli uomini e le donne che non sbarcano più nell’isola italiana di Lampedusa”, conclude il giornalista Fabrizio Gatti dell’Espresso, che in passato ha fatto dei servizi lungo questa rotta del traffico di clandestini. Bloccati dall’accordo tra il premier italiano Silvio Berlusconi e il leader libico Moammar Gheddafi gli immigranti africani vengono sempre più spesso rispediti in Niger.
Dispersi
I soldati libici li portano al confine con il Niger e li abbandonano sulla sabbia bollente. Da lì bisogna camminare per 80 chilometri prima di arrivare alla prima base militare in Niger, il fortino di Madama. Non esiste una strada, bisogna orientarsi con il sole e le stelle. Per chi si perde non c’è speranza. Due settimane prima della ripresa del video, il premier italiano è stato in visita da Gheddafi. Ha porto le sue scuse per l’occupazione coloniale italiana in Libia, garantito 5 miliardi di dollari di risarcimento da pagare in 20 anni, fatto accordi su gas e petrolio e anche sul pattugliamento congiunto delle coste libiche per impedire la partenza dei migranti verso Lampedusa. In quell’occasione, Gheddafi ha dimostrato la sua buona volontà rispedendo verso il Niger centinaia di migranti richiusi nell’accampamento militare di Al Gatrun. È possibile, così conclude L’Espresso, che i cadaveri del filmato facessero parte di quel gruppo.
Responsabilità
In risposta alle immagini, che ieri sono state trasmesse anche dal programma televisivo Annozero, il capofrazione del partito di governo Lega Nord, Roberto Cota, ha detto che l’Italia non può essere ritenuta responsabile per le problematiche dell’immigrazione, ma che queste sono una questione europea. Ha affermato che l’accordo con la Libia è un successo, giacchè l’immigrazione è diminuita del 90%. “In questo modo abbiamo fatto diminuire le morti in mare.
[Articolo originale "Vluchtelingen sterven niet meer op zee, maar in Sahara" di Bas Mesters]
Inoltre segnalo due videoreportage di Fabrizio Gatti per L'Espresso:
Morire nel deserto
La nuova ondata
I rifugiati non muoiono più in mare ma nel Sahara
Articolo di Politica estera, pubblicato venerdì 15 gennaio 2010 in Olanda.
I migranti africani che vogliono raggiungere l’isola italiana di Lampedusa vengono attualmente bloccati da un accordo italo-libico, fatto per fermare i profughi. L’accordo funziona e ha il suo drammatico rovescio della medaglia nel Sahara, a Sud della Libia. Lo dimostrano le immagini scioccanti che il settimanale italiano L’Espresso ha pubblicato ieri, sotto il titolo “Morire nel deserto” .
Undici corpi disidratati giacciono sulla sabbia del deserto: sette uomini neri e quattro donne. Uno è inginocchiato in preghiera, un altro solleva le mani verso il cielo, come se volesse afferrare l’aria. Queste persone morte di sete avrebbero viaggiato a piedi. Indossano indumenti libici, il che indica che non andavano verso la Libia, ma venivano da lì.
Immagini verificate
Il video è stato ripreso il 16 marzo 2009 con un telefonino, da un viaggiatore diretto da Al Gatrun, l’ultima oasi libica, al fortino militare di Madama nel Niger. Il settimanale ha ricevuto il filmato la scorsa estate e ne ha verificato l’autenticità prima di pubblicarlo. “Così muoiono gli uomini e le donne che non sbarcano più nell’isola italiana di Lampedusa”, conclude il giornalista Fabrizio Gatti dell’Espresso, che in passato ha fatto dei servizi lungo questa rotta del traffico di clandestini. Bloccati dall’accordo tra il premier italiano Silvio Berlusconi e il leader libico Moammar Gheddafi gli immigranti africani vengono sempre più spesso rispediti in Niger.
Dispersi
I soldati libici li portano al confine con il Niger e li abbandonano sulla sabbia bollente. Da lì bisogna camminare per 80 chilometri prima di arrivare alla prima base militare in Niger, il fortino di Madama. Non esiste una strada, bisogna orientarsi con il sole e le stelle. Per chi si perde non c’è speranza. Due settimane prima della ripresa del video, il premier italiano è stato in visita da Gheddafi. Ha porto le sue scuse per l’occupazione coloniale italiana in Libia, garantito 5 miliardi di dollari di risarcimento da pagare in 20 anni, fatto accordi su gas e petrolio e anche sul pattugliamento congiunto delle coste libiche per impedire la partenza dei migranti verso Lampedusa. In quell’occasione, Gheddafi ha dimostrato la sua buona volontà rispedendo verso il Niger centinaia di migranti richiusi nell’accampamento militare di Al Gatrun. È possibile, così conclude L’Espresso, che i cadaveri del filmato facessero parte di quel gruppo.
Responsabilità
In risposta alle immagini, che ieri sono state trasmesse anche dal programma televisivo Annozero, il capofrazione del partito di governo Lega Nord, Roberto Cota, ha detto che l’Italia non può essere ritenuta responsabile per le problematiche dell’immigrazione, ma che queste sono una questione europea. Ha affermato che l’accordo con la Libia è un successo, giacchè l’immigrazione è diminuita del 90%. “In questo modo abbiamo fatto diminuire le morti in mare.
[Articolo originale "Vluchtelingen sterven niet meer op zee, maar in Sahara" di Bas Mesters]
venerdì 22 gennaio 2010
Sciopero del Primo Marzo 2010
Annozero, i nuovi schiavi e il Primo Marzo 2010
di Fabrizio Gatti, da Piovonorane.it
In attesa del primo sciopero degli stranieri, è possibile ancora sorridere di fronte al collasso del sistema immigrazione in Italia?
L’annuncio a “Che tempo che fa” del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, di concedere protezione agli immigrati feriti a Rosarno, fa scappare una battuta: per essere considerati uomini, donne, lavoratori, cittadini in Italia bisogna avere la sventura di farsi sparare come è successo agli stranieri colpiti nella tre giorni e tre notti di caccia all’uomo in Calabria?
Quello del ministro è un provvedimento doveroso. Ma senza un aggiornamento della legge sull’immigrazione rimane un’elargizione, un regalo, un tampone alla bomba sociale che la Bossi-Fini prima e il pacchetto sicurezza poi hanno innescato.
Sentite qua.
1) Giovedì 14 gennaio, conclusa la trasmissione Annozero, la polizia ha fermato per mezz’ora tre ospiti che erano intervenuti in diretta. Non li hanno lasciati nemmeno uscire. Sono stati bloccati in un corridoio secondario, dentro gli studi della Rai. Non hanno fermato me (che sono imputato davanti al Tribunale di Agrigento per aver dichiarato di essere iracheno quando sono stato ripescato dal mare di Lampedusa). Non hanno nemmeno fermato l’onorevole del Pdl Alessandra Mussolini (è parlamentare, non si può) anche se potrebbe riconoscere chi si muove nella rete di estrema destra con cui è stata alleata fino a pochi mesi fa. Hanno fermato gli unici tre ospiti neri. Il funzionario di polizia voleva verificare che avessero davvero la ricevuta per aver chiesto il permesso di soggiorno. Deve essere l’originale (non una fotocopia). Un abuso? No. Da quando l’essere irregolari è reato, i pubblici ufficiali per non finire a loro volta nei guai devono controllare. I cedolini c’erano. Se avessero dimenticato a casa gli originali o anche se avessero avuto con sé le fotocopie (per non perdere gli originali) i tre ragazzi sarebbero stati rinchiusi nel centro di identificazione di Ponte Galeria e avrebbero rischiato fino a duemila euro di multa e un anno di carcere. Provate voi a immaginare un italiano condannato a un anno di carcere per aver dimenticato la carta di identità… Infatti la legge vale solo per gli stranieri. L’episodio va letto anche in un altro modo: uno schiavo dell’agricoltura al Sud o dell’edilizia al Nord, se non ha il permesso di soggiorno, non può mai più denunciare pubblicamente o alle autorità le sue condizioni di schiavitù. Perché rischia l’arresto immediato e se non lascia l’Italia, una condanna fino a 4 anni di carcere. Più del suo caporale, che non rischia nulla, e del datore di lavoro, che spesso non si trova mai.
2) Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi è talmente impegnato a scongiurare situazioni di schiavitù come quelle di Rosarno che nel 2009 ha avvallato queste disposizioni, contenute nel Documento di programmazione dell’attività di vigilanza: meno controlli in tutta Italia, con punte del 50 per cento in Calabria. La Calabria ha un altro record: secondo uno studio del 2006 dell’Agenzia delle entrate gli imprenditori calabresi evadono il 94 per cento dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. Significa che il 94 per cento dell’economia calabrese è sommersa e resta sommersa grazie anche alla decisione del ministro Sacconi di ridurre i controlli (e di indirizzarli semmai sulle imprese di proprietà di immigrati). Non è solo una piaga del Sud. La Provincia di Venezia ha scoperto che il 27 per cento degli addetti nelle industrie manifatturiere in Veneto è composto da lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno. Siamo nel Nordest.
3) Dopo l’inchiesta de L’espresso a Foggia nel 2006, Giuliano Amato, ministro dell’Interno nel governo Prodi, aveva istituito una commissione composta da prefetti, funzionari di polizia e ufficiali di carabinieri e guardia di finanza. La commissione aveva suggerito la necessità di istituire il reato di caporalato perché, secondo i commissari, le leggi attuali non sono in grado di reprimere il fenomeno. Il ministro dell’Interno successivo, Roberto Maroni, ha istituito il reato di immigrazione clandestina che punisce anche i lavoratori. Ma non i caporali. Il progetto della commissione del 2006 è stato ignorato.
4) Sempre dopo l’inchiesta de L’espresso a Foggia nel 2006, il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, nel governo Prodi, aveva istituito un fondo integrativo da affidare all’Inps per gestire con le regioni l’ospitalità, l’assistenza e la tutela dei lavoratori stagionali. Il ricorso alla Corte costituzionale delle Regioni di centrodestra Lombardia e Veneto ha fatto bocciare il provvedimento.
5) Sempre dopo l’inchiesta de L’espresso a Foggia nel 2006, il governo Prodi aveva proposto di estendere ai lavoratori irregolari la tutela prevista per le vittime della tratta dell’immigrazione, qualora denunciassero i loro sfruttatori. La proposta non è passata per l’opposizione di funzionari del ministero dell’Interno, perché temevano che la norma avrebbe aggirato i limiti imposti dalle quote annuali (che sono la causa indiretta del lavoro nero. L’esempio della Puglia nel 2006: quote stagionali 1600, necessità di lavoratori stagionali solo per la provincia di Foggia 5000-7000).
6) Sempre dopo l’inchiesta de L’espresso a Foggia nel 2006, il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, nel governo Prodi, ha introdotto l’obbligo di registrare i lavoratori entro il giorno prima del loro inizio, per evitare lo sfruttamento e la registrazione postuma solo in caso di controlli o di incidente. L’attuale governo Berlusconi ha proposto di sopprimere questa norma e il nuovo provvedimento attende l’approvazione della Camera.
7) Se un raccoglitore di arance senza documenti in regola avesse denunciato i suoi schiavisti a Rosarno, avrebbe rischiato fino a 4 anni di carcere. Nessuna norma punisce i parlamentari che hanno contatti con mafia, ‘ndrangheta e camorra.
8) Se uno straniero perde il lavoro e nel frattempo gli scade anche il permesso di soggiorno, entro sei mesi deve trovare un’altra assunzione o andarsene. Se resta commette reato, anche se non commette altri reati e si mantiene con i suoi risparmi. I centri di detenzione per stranieri stanno diventando centri di detenzione per disoccupati.
9) Poiché lo Stato ha dimostrato in questi anni di non essere in grado di espellere gli irregolari che hanno commesso reati gravi (solo il 40 per cento viene rimpatriato secondo dati del ministero dell’Interno consegnati a Medici senza frontiere), avremo un’ulteriore massa di lavoratori senza nessun diritto. Se non quello di essere premiati dal ministro dell’Interno. Ma solo dopo essersi fatti sparare.
Per questo il primo marzo aderisco al primo Sciopero degli stranieri.
di Fabrizio Gatti, da Piovonorane.it
In attesa del primo sciopero degli stranieri, è possibile ancora sorridere di fronte al collasso del sistema immigrazione in Italia?
L’annuncio a “Che tempo che fa” del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, di concedere protezione agli immigrati feriti a Rosarno, fa scappare una battuta: per essere considerati uomini, donne, lavoratori, cittadini in Italia bisogna avere la sventura di farsi sparare come è successo agli stranieri colpiti nella tre giorni e tre notti di caccia all’uomo in Calabria?
Quello del ministro è un provvedimento doveroso. Ma senza un aggiornamento della legge sull’immigrazione rimane un’elargizione, un regalo, un tampone alla bomba sociale che la Bossi-Fini prima e il pacchetto sicurezza poi hanno innescato.
Sentite qua.
1) Giovedì 14 gennaio, conclusa la trasmissione Annozero, la polizia ha fermato per mezz’ora tre ospiti che erano intervenuti in diretta. Non li hanno lasciati nemmeno uscire. Sono stati bloccati in un corridoio secondario, dentro gli studi della Rai. Non hanno fermato me (che sono imputato davanti al Tribunale di Agrigento per aver dichiarato di essere iracheno quando sono stato ripescato dal mare di Lampedusa). Non hanno nemmeno fermato l’onorevole del Pdl Alessandra Mussolini (è parlamentare, non si può) anche se potrebbe riconoscere chi si muove nella rete di estrema destra con cui è stata alleata fino a pochi mesi fa. Hanno fermato gli unici tre ospiti neri. Il funzionario di polizia voleva verificare che avessero davvero la ricevuta per aver chiesto il permesso di soggiorno. Deve essere l’originale (non una fotocopia). Un abuso? No. Da quando l’essere irregolari è reato, i pubblici ufficiali per non finire a loro volta nei guai devono controllare. I cedolini c’erano. Se avessero dimenticato a casa gli originali o anche se avessero avuto con sé le fotocopie (per non perdere gli originali) i tre ragazzi sarebbero stati rinchiusi nel centro di identificazione di Ponte Galeria e avrebbero rischiato fino a duemila euro di multa e un anno di carcere. Provate voi a immaginare un italiano condannato a un anno di carcere per aver dimenticato la carta di identità… Infatti la legge vale solo per gli stranieri. L’episodio va letto anche in un altro modo: uno schiavo dell’agricoltura al Sud o dell’edilizia al Nord, se non ha il permesso di soggiorno, non può mai più denunciare pubblicamente o alle autorità le sue condizioni di schiavitù. Perché rischia l’arresto immediato e se non lascia l’Italia, una condanna fino a 4 anni di carcere. Più del suo caporale, che non rischia nulla, e del datore di lavoro, che spesso non si trova mai.
2) Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi è talmente impegnato a scongiurare situazioni di schiavitù come quelle di Rosarno che nel 2009 ha avvallato queste disposizioni, contenute nel Documento di programmazione dell’attività di vigilanza: meno controlli in tutta Italia, con punte del 50 per cento in Calabria. La Calabria ha un altro record: secondo uno studio del 2006 dell’Agenzia delle entrate gli imprenditori calabresi evadono il 94 per cento dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. Significa che il 94 per cento dell’economia calabrese è sommersa e resta sommersa grazie anche alla decisione del ministro Sacconi di ridurre i controlli (e di indirizzarli semmai sulle imprese di proprietà di immigrati). Non è solo una piaga del Sud. La Provincia di Venezia ha scoperto che il 27 per cento degli addetti nelle industrie manifatturiere in Veneto è composto da lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno. Siamo nel Nordest.
3) Dopo l’inchiesta de L’espresso a Foggia nel 2006, Giuliano Amato, ministro dell’Interno nel governo Prodi, aveva istituito una commissione composta da prefetti, funzionari di polizia e ufficiali di carabinieri e guardia di finanza. La commissione aveva suggerito la necessità di istituire il reato di caporalato perché, secondo i commissari, le leggi attuali non sono in grado di reprimere il fenomeno. Il ministro dell’Interno successivo, Roberto Maroni, ha istituito il reato di immigrazione clandestina che punisce anche i lavoratori. Ma non i caporali. Il progetto della commissione del 2006 è stato ignorato.
4) Sempre dopo l’inchiesta de L’espresso a Foggia nel 2006, il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, nel governo Prodi, aveva istituito un fondo integrativo da affidare all’Inps per gestire con le regioni l’ospitalità, l’assistenza e la tutela dei lavoratori stagionali. Il ricorso alla Corte costituzionale delle Regioni di centrodestra Lombardia e Veneto ha fatto bocciare il provvedimento.
5) Sempre dopo l’inchiesta de L’espresso a Foggia nel 2006, il governo Prodi aveva proposto di estendere ai lavoratori irregolari la tutela prevista per le vittime della tratta dell’immigrazione, qualora denunciassero i loro sfruttatori. La proposta non è passata per l’opposizione di funzionari del ministero dell’Interno, perché temevano che la norma avrebbe aggirato i limiti imposti dalle quote annuali (che sono la causa indiretta del lavoro nero. L’esempio della Puglia nel 2006: quote stagionali 1600, necessità di lavoratori stagionali solo per la provincia di Foggia 5000-7000).
6) Sempre dopo l’inchiesta de L’espresso a Foggia nel 2006, il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, nel governo Prodi, ha introdotto l’obbligo di registrare i lavoratori entro il giorno prima del loro inizio, per evitare lo sfruttamento e la registrazione postuma solo in caso di controlli o di incidente. L’attuale governo Berlusconi ha proposto di sopprimere questa norma e il nuovo provvedimento attende l’approvazione della Camera.
7) Se un raccoglitore di arance senza documenti in regola avesse denunciato i suoi schiavisti a Rosarno, avrebbe rischiato fino a 4 anni di carcere. Nessuna norma punisce i parlamentari che hanno contatti con mafia, ‘ndrangheta e camorra.
8) Se uno straniero perde il lavoro e nel frattempo gli scade anche il permesso di soggiorno, entro sei mesi deve trovare un’altra assunzione o andarsene. Se resta commette reato, anche se non commette altri reati e si mantiene con i suoi risparmi. I centri di detenzione per stranieri stanno diventando centri di detenzione per disoccupati.
9) Poiché lo Stato ha dimostrato in questi anni di non essere in grado di espellere gli irregolari che hanno commesso reati gravi (solo il 40 per cento viene rimpatriato secondo dati del ministero dell’Interno consegnati a Medici senza frontiere), avremo un’ulteriore massa di lavoratori senza nessun diritto. Se non quello di essere premiati dal ministro dell’Interno. Ma solo dopo essersi fatti sparare.
Per questo il primo marzo aderisco al primo Sciopero degli stranieri.
martedì 19 gennaio 2010
Respingimenti e Corte Europea
La decisione della Corte europea di Strasburgo non rappresenta un’assoluzione del governo per la politica dei respingimenti verso la Libia: lo ha sottolineato oggi il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), dopo l’archiviazione di un caso relativo a 84 migranti espulsi nel 2005 dall’isola siciliana di Lampedusa. Secondo Christopher Hein, il direttore del Cir, la Corte “non si è pronunciata sulla legalità e la legittimità dei respingimenti” ma ha bocciato il ricorso “per motivi formali”. Il Consiglio italiano per i rifugiati ha evidenziato che la decisione “non rappresenta un precedente” rispetto alle denunce contro i nuovi respingimenti in Libia presentate l’anno scorso. Nelle prossime settimane il governo dovrà fornire tra l’altro alla Corte europea informazioni sul caso di 13 somali e 11 eritrei intercettati in mare e respinti in Libia nel Maggio scorso. Le richieste di informazioni riguardano in particolare tre articoli della Convenzione europea per i diritti dell’uomo: il rischio che le persone espulse possano subire torture o trattamenti degradanti (art. 3), il fatto che i migranti non siano stati messi in condizioni di formulare richiesta di asilo politico (art. 13) e il divieto di deportazioni collettive, avvenute senza alcuna identificazione personale (art. 4). Nelle motivazioni della decisione odierna, i giudici della Corte europea sostengono che alcune delle 84 firme dei ricorrenti non sarebbero autentiche e che i difensori non siano in grado di indicare dove furono deportati i migranti né dove si trovino adesso. In un'audizione di fronte al Parlamento dell'Unione Europea (UE), che ha sede sempre a Strasburgo, il commissario designato per gli Affari interni Cecilia Malmostrom ha chiesto oggi di porre "un freno" alle "tragedie del Mediterraneo"; bisogna, ha sostenuto ancora, "dare protezione a chi scappa da situazione terribili per salvarsi la vita ma garantendo al tempo stesso la gestione del flusso dell'immigrazione clandestina".
www.misna.org
www.misna.org
mercoledì 13 gennaio 2010
Primo Marzo Duemiladieci
Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? E se a sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del razzismo?
Movimento Primomarzo2010
Corriere della Sera
Peace Reporter
Movimento Primomarzo2010
Corriere della Sera
Peace Reporter
Lo sapevo...
Durante gli ultimi mesi in Mozambico, attraverso le notizie in internet e i racconti degli amici in Italia, ci aspettavamo di rientrare in un paese sempre più chiuso e intollerante verso TUTTE LE FORME DI DIVERSITA'.
Ma non immaginavo che ne avrei avuto una prova così inquietante, a meno di un mese dal nostro arrivo. Di commenti sui fatti di Rosarno ne abbiamo letti e ascoltati tanti (molte strumentalizzazioni e altrettante minchiate). Rimane la tristezza profonda nel vedere le immagini degli ex-braccianti/schiavi che lasciano l'inferno della Rognetta verso una probabile espulsione: il ritorno all'inferno da cui erano scappati. Come sempre, a prenderlo in culo sono i più deboli.
Segnalo del materiale interessante sui siti:
Peace Reporter, la rete della pace
Fortress Europe, l'osservatorio sulle vittime dell'emigrazione
MicroMega
Amnesty International sezione Italia
Italia dall'estero...come ci vede la stampa estera
Ma non immaginavo che ne avrei avuto una prova così inquietante, a meno di un mese dal nostro arrivo. Di commenti sui fatti di Rosarno ne abbiamo letti e ascoltati tanti (molte strumentalizzazioni e altrettante minchiate). Rimane la tristezza profonda nel vedere le immagini degli ex-braccianti/schiavi che lasciano l'inferno della Rognetta verso una probabile espulsione: il ritorno all'inferno da cui erano scappati. Come sempre, a prenderlo in culo sono i più deboli.
Segnalo del materiale interessante sui siti:
Peace Reporter, la rete della pace
Fortress Europe, l'osservatorio sulle vittime dell'emigrazione
MicroMega
Amnesty International sezione Italia
Italia dall'estero...come ci vede la stampa estera
domenica 10 gennaio 2010
venerdì 8 gennaio 2010
Corso di formazione "Volontari senza confini"
A partire dal 22 gennaio 2010 e per sei venerdì consecutivi, AltroSpazio, in collaborazione con le associazioni Umudufu, Scuola di Babele, Variopinto e Cose dell’altro Mondo, propone un corso di formazione per volontari e aspiranti volontari.
Il corso, intitolato “VOLONTARI SENZA CONFINI”, vuole essere un modo per avvicinare i partecipanti al significato profondo e concreto del volontariato a livello locale e internazionale, poiché la solidarietà che lavora per Paesi e progetti lontani ha bisogno di un forte coinvolgimento anche nella realtà locale.
Inoltre il corso vuole dare l’opportunità di un confronto tra volontari, per uno scambio di punti di vista e una riflessione comune della propria esperienza diretta.
Gli argomenti delle serate spazieranno su diverse tematiche: gli squilibri nord-sud del mondo, il commercio equo e solidale, i progetti di volontariato internazionale e approfondimenti sugli obiettivi condivisi a partire dai progetti sostenuti.
Gli incontri si terranno presso la Bottega AltroSpazio di Lainate in via San Vittore 4 dalle ore 21 alle 23.30.
Per informazioni e adesioni:
Marco Lampugnani
e-mail : info@altrospazio.it
Francesca D’Angelo
e-mail : educazione@altrospazio.it
Il corso, intitolato “VOLONTARI SENZA CONFINI”, vuole essere un modo per avvicinare i partecipanti al significato profondo e concreto del volontariato a livello locale e internazionale, poiché la solidarietà che lavora per Paesi e progetti lontani ha bisogno di un forte coinvolgimento anche nella realtà locale.
Inoltre il corso vuole dare l’opportunità di un confronto tra volontari, per uno scambio di punti di vista e una riflessione comune della propria esperienza diretta.
Gli argomenti delle serate spazieranno su diverse tematiche: gli squilibri nord-sud del mondo, il commercio equo e solidale, i progetti di volontariato internazionale e approfondimenti sugli obiettivi condivisi a partire dai progetti sostenuti.
Gli incontri si terranno presso la Bottega AltroSpazio di Lainate in via San Vittore 4 dalle ore 21 alle 23.30.
Per informazioni e adesioni:
Marco Lampugnani
e-mail : info@altrospazio.it
Francesca D’Angelo
e-mail : educazione@altrospazio.it
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