venerdì 14 gennaio 2011

Haiti - 12

Haiti è un paese purtroppo già visto. Come il Rwanda, il Mozambico, il Brasile, il Madagascar...
Isola caraibica. Paradiso dei turisti. Spiagge stupende, palme, sole, mare cristallino.
Come già scritto per il Rwanda...un contrasto troppo stridente tra la bellezza dei luoghi e la difficoltà di viverci.
Non so come fosse la vita prima del terremoto. Dal poco che ho letto non doveva essere facile.
Dopo il terremoto sembra quasi impossibile.
Tutto è instabile. Tutto è precario. Gli edifici. Il lavoro. La politica. La salute. La vita.
Nessuno pensa al domani. Comprensibile. Oggi hai fortuna e mangi. Domani chissà.
Pensare al futuro è un lusso che solo noi "nati nel posto giusto" possiamo permetterci.
Nessuna retorica. Nessun senso di colpa o fustigazione. Solo un dato di fatto. Da non dimenticare. Tutto qui.
La capitale è un ammasso di macerie. Letteralmente. Case pericolanti o già crollate. Cumuli di sassi e sabbia ovunque. Persone che tentano di sistemare la propria casa o quel che ne resta. Tutti hanno diritto ad un tetto. Seppur di tela o lamiera. Ovunque tendopoli. Tende a perdita d'occhio. Pochi centimetri le separano. Fili stesi con vestiti ad asciugare. Piccoli fornelli a carbone. Fuocherelli sparsi nella notte.
Per attraversare la città in macchina servono ore. Strade distrutte. Traffico caotico. Incroci e imbottigliamenti. Uomini in divisa tentano di mettere ordine. Inutilmente.
La città è tagliata da un canale. Tipo i navigli a Milano. Ma con dentro un fiume di merda. Spazzatura. Rottami. Liquami. Bambini ci camminano dentro in cerca di qualcosa. Chissà cosa poi...
Colleghi qui da più tempo mi dicono che i bambini bevono dalle pozzanghere ai bordi delle strade.
In tutto questo scenario un'epidemia di colera. L'ennesima tragedia. Accanimento della sfiga.
E come sempre due lati della medaglia.
Da un lato la gente colpita dalla malattia. Gente che muore.
Dall'altro gente che finalmente trova lavoro. Dopo tanto tempo. Dopo anni di disoccupazione. Un tasso di disoccupazione nell'isola elevatissimo. Il baraccone degli aiuti umanitari che arriva con un fiume di soldi e possibilità di lavoro per molte persone. Per qualche settimana, forse qualche mese, soldi mai visti, mai così tutti insieme.
Chi lavora sodo. Chi si arrangia con piccole attività. Chi approfitta della situazione. Finchè dura.
E chi spera che questa emergenza duri in eterno. Per continuare a lavorare. Per avere qualche soldo in più. Per avere qualche possibilità di un futuro.
La speranza di una "rinascita" si basa sulla morte di altri...
che cinica assurdità. Ma quasi comprensibile.
In questi giorni stiamo riducendo il personale del centro. Meno pazienti. Meno personale. Logico.
Ma difficile. Difficilissimo. Dopo settimane (per me), mesi (per altri miei colleghi) passati a lavorare insieme ad un progetto. Condividendo molte ore di lavoro. Uno sforzo per tutti.
E' stato molto triste. Non ci sono abituato. Non riuscivo a guardarli negli occhi. Non sono riuscito a sostenere il loro sguardo. Carico di delusione. E consapevolezza che per loro tutto tornerà come prima. Magari qualche soldo in più in tasca. Ma senza un lavoro.
Difficile. Molto.

Nessun commento: