La comunità internazionale impotente di fronte alla crisi nel Kivuscritto per PeaceReporter da Matteo Fagotto
Sono passati tre mesi dallo scoppio della crisi congolese, ma al Palazzo di Vetro dell'Onu, così come a Bruxelles e all'Unione Africana, non si trova il bandolo della matassa per sbrogliare una crisi che ha provocato almeno 250.000 sfollati e migliaia di vittime. Tra mediazioni fallite, risoluzioni proposte e trattati di pace mai rispettati, la regione orientale del Kivu rimane alla mercé dei ribelli del generale Laurent Nkunda, oltre che delle milizie Mayi-Mayi e dei ribelli Hutu ancora presenti in Congo. I due principali contendenti, Nkunda stesso e il presidente congolese Joseph Kabila, rimangono fermi sulle loro inconciliabili posizioni.
Nemmeno gli sforzi di Olusegun Obasanjo, ex-presidente nigeriano e inviato speciale dell'Onu in Congo, hanno sortito l'effetto sperato. Anzi, sabato scorso, nel corso della sua seconda visita in 15 giorni nel Kivu, Obasanjo avrebbe avuto un vivacissimo scambio di opinioni con Nkunda, accusandolo del mancato rispetto della tregua imposta ai suoi uomini dal generale stesso due settimane fa. Nkunda si sarebbe giustificato sostenendo che la tregua rimane in vigore nei confronti dell'esercito congolese, ma non delle milizie alleate di Kinshasa presenti ancora nella regione. Alla fine del vertice, le posizioni non avrebbero potuto essere più distanti: mentre Obasanjo sottolineava gli sforzi compiuti verso la pace, Nkunda lanciava una sorta di velato ultimatum a Kabila. Incontrarsi a un vertice internazionale a breve, oppure subire una nuova offensiva dei suoi uomini.
Se non altro, il Palazzo di Vetro è riuscito a votare un aumento dei contingenti della Monuc (la missione Onu in Congo), che passeranno da 17.000 a 20.000. A Bruxelles, invece, le divisioni interne all'Unione Europea non hanno permesso di raggiungere neanche un accordo sul possibile invio di una forza di intervento rapida, caldeggiata da Francia e Belgio ma osteggiata dalla Gran Bretagna e dal capo della diplomazia europea, Javier Solana. Per ora, la linea della Ue è quella di limitarsi a generici appelli sul rispetto degli accordi di pace siglati nel 2007 e nel gennaio 2008, i quali prevedono il disarmo di tutte le formazioni irregolari presenti nel Kivu. Peccato che entrambi gli accordi si siano rivelati carta straccia poche settimane dopo la loro firma.
Nella mischia si è gettata anche l'Unione Africana, che ha scelto come mediatore l'ex-presidente della Tanzania, Benjamin Mpaka. Ma chi si aspettava che gli sforzi dell'organizzazione continentale potessero sopperire alle deficienze degli occidentali è rimasto deluso. Finora, neanche Mpaka è riuscito a raggiungere risultati concreti, frustrato dalle inconciliabili posizioni dei due contententi: da una parte Nkunda, che invoca un nuovo vertice di pace, dall'altra Kabila, che chiede il rispetto degli accordi siglati a gennaio. In mezzo, centinaia di migliaia di persone costrette a fuggire non solo dalle violenze commesse dai gruppi armati irregolari, ma anche dagli abusi dell'esercito, messo in rotta dagli uomini di Nkunda e rifattosi sui civili.
Dopo settimane di intenso interesse mediatico e politico, la crisi del Congo è lentamente scivolata fuori dalle pagine dei giornali ed è stata dimenticata dalla politica internazionale, distratta prima dai pirati del Golfo di Aden e poi dagli attacchi a Mumbay. Incapace di arrivare a conquistare la capitale Kinshasa, come aveva promesso qualche settimana fa, Nkunda ha però la possibilità di ritagliarsi un vasto feudo nel Kivu, e di impegnare le truppe congolesi per un lungo periodo. Alla faccia di un processo di pace che, nell'est del Congo, non è mai decollato, e di una comunità internazionale troppo discontinua nei suoi sforzi diplomatici.
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