martedì 13 aprile 2010

"Africani è ora di lottare"

A 50 anni dall'indipendenza: "Africani, è ora di lottare", una lettera aperta.

Un j’accuse rivolto alle ex-potenze coloniali, alle dure regole economiche neoliberali, ai “depredatori delle risorse naturali” e ai dirigenti politici africani: è in sintesi il contenuto della lettera aperta del professore di storia e scienze politiche all’Università sudafricana di Johannesburg, il camerunense Achille Mbembé, pubblicata da diverse testate africane, tra cui il congolese Le Potentiel, in occasione dei 50 anni di indipendenza che ricorre nel 2010 in 17 paesi del continente, tra cui 14 ex-colonie francesi. La Francia “che dà l’impressione di riconoscere controvoglia la democratizzazione del continente vuole fare del 2010 l’anno dell’Africa (…) eppure si è opposta a quel movimento non esitando a ricorrere alla corruzione, alla forza e all’omicidio” scrive Mbembé, autore di diversi saggi sulla storia postcoloniale. Mbembé afferma che Parigi ha più volte “fornito un tenace sostegno ai governanti più corrotti del continente e ai regimi che hanno voltato le spalle alla causa africana” e durante il periodo della decolonizzazione ha “fatto siglare accordi iniqui di cooperazione e difesa, consentendogli di continuare ad esercitare un’influenza negativa negli affari continentali”. Per i prossimi 50 anni, lo studioso vede nella Cina “se non un contrappeso almeno un espediente a uno scambio finora squilibrato col Nord del mondo” anche se per ora “Pechino non va oltre il modello dell’economia di estrazione delle materie prime e non sembra destinata a prestare man forte nelle lotte per la democrazia” in Africa. Secondo Mbembé, le relazioni internazionali vanno ristabilite sulla base di un “New Deal continentale a favore della democrazia e del progresso economico” tra i singoli Stati africani e le potenze straniere per “chiudere definitivamente il capitolo coloniale”; questo comporterebbe anche indennità di ricostruzione, meccanismi di “sanzioni ai danni dei regimi e tutti quegli attori, pubblici come privati, responsabili di crimini contro l’umanità”.
Il professore camerunense traccia poi un bilancio più economico-sociale di mezzo secolo di indipendenza segnato dalla “brutalità delle costrizioni economiche delle regole neoliberali imposte agli africani (…) che spesso suscitano proteste popolari contro il caro vita o esplodono dietro scontri etnici ed elettorali”. Per cambiare le regole e inventare “una via alternativa”, sottolinea lo scrittore, “bisogna uscire dalla logica dello sfruttamento e della ruberia che caratterizzano l’economia politica delle materie prime in Africa. Il capitalismo che alimenta questa dinamica favorisce l’alleanza tra mercantilismo, disordini politici e militarismo”. Al livello politico, Mbembé fa notare che “in numerosi casi gli africani non sono ancora liberi o messi nella possibilità di scegliere liberamente i propri dirigenti” e “troppi paesi sono ancora in mano a satrapi cui unico scopo è rimanere al potere, motivi per cui le elezioni vengono spesso manipolate”. Rivolgendosi ai cittadini africani, fa notare come “la loro sana aspirazione alla libertà e al benessere non riesce ancora a tradursi in un linguaggio nuovo, proprio, in forze sociali e culturali organizzate in grado di far radicare la democrazia e sradicare il modello coloniale” dall’Africa. Secondo l’intellettuale del Camerun, deve trattarsi di un pensiero che “vada al di là dell’eredità anticoloniale e anti-imperialista”, che permetta di superare l’immagine dell’Africa come “terra dell’equazione tra politica e stato permanente di guerra civile” per poter “annientare l’enorme potenziale di violenza negativa tutt’ora palpabile”. Per bloccare persone “abbandonate a se stesse e che migrano per sfuggire a guerre, ineguaglianze e criminalità” è fondamentale, insiste Mbembé, “uscire dalla logica dell’intervento d’urgenza che finora ha dominato il dibattito internazionale sull’Africa” per puntare a “investimenti sul capitale umano del continente, tutto da valorizzare” e a “nuove reti di solidarietà internazionale”. Conclude la sua lunga analisi con un appello a tenere conto del contributo africano alla sicurezza del mondo ma anche alla ricchezza del suo contributo umano e spirituale.

Da www.misna.org

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