Inequities are killing people on a "grand scale"
28 August 2008
Differences in mortality between - and within - countries result from the social environment where people are born, live, grow, work and age. These "social determinants of health" have been the focus of a three-year investigation. The recommendations from this investigation, released today, focus on policies to redress social equalities globally, nationally and locally.
Il 28 agosto sul sito dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (www.who.int) è stato pubblicato un documento sui determinanti sociali della salute, dal titolo "Closing the gap in a generation - Health equity through action on the social determinants of health".
L'intero documento è scaricabile in pochi minuti e gratuitamente all'indirizzo
http://www.who.int/social_determinants/final_report/en/index.html
sabato 30 agosto 2008
Emergenza alimentare
Una riserva di cereali per l'Africa australe
Sono state avviate le procedure per la creazione di una riserva regionale di cereali, promossa dalla Comunità di sviluppo dei paesi dell’Africa australe (Sadc) per contrastare gli effetti negativi della crisi alimentale. La Sadc ha già chiesto ai suoi paesi membri dotati di eccedenze di mais di esportare soltanto all’interno dei confini regionali. In base al progetto, la riserva dovrebbe comprendere circa 500.000 tonnellate di cereali e un fondo in denaro, alimentato dai paesi che non hanno eccedenze di produzione. Tre membri della Sadc, le Mauritius, Madagascar e il Mozambico, hanno intanto avviato la collaborazione alimentare creando una società che consentirà ai primi due di sfruttare la terra del terzo per soddisfare i propri bisogni. Secondo un rapporto del Centro di documentazione e ricerca dell’Africa meridionale, al termine della stagione agricola 2007/2008 la regione ha registrato un aumento dei raccolti rispetto alla precedente stagione e una situazione alimentare globalmente positiva, ma influenzata negativamente dall’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi e dei fertilizzanti sui mercati internazionali.
www.misna.org
Sono state avviate le procedure per la creazione di una riserva regionale di cereali, promossa dalla Comunità di sviluppo dei paesi dell’Africa australe (Sadc) per contrastare gli effetti negativi della crisi alimentale. La Sadc ha già chiesto ai suoi paesi membri dotati di eccedenze di mais di esportare soltanto all’interno dei confini regionali. In base al progetto, la riserva dovrebbe comprendere circa 500.000 tonnellate di cereali e un fondo in denaro, alimentato dai paesi che non hanno eccedenze di produzione. Tre membri della Sadc, le Mauritius, Madagascar e il Mozambico, hanno intanto avviato la collaborazione alimentare creando una società che consentirà ai primi due di sfruttare la terra del terzo per soddisfare i propri bisogni. Secondo un rapporto del Centro di documentazione e ricerca dell’Africa meridionale, al termine della stagione agricola 2007/2008 la regione ha registrato un aumento dei raccolti rispetto alla precedente stagione e una situazione alimentare globalmente positiva, ma influenzata negativamente dall’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi e dei fertilizzanti sui mercati internazionali.
www.misna.org
O leone!
Un GRAZIE! ad Elena, che mi ha inviato una foto scattata nel Parco Gorongosa, qui in Mozambico.
Non ho ancora capito se me l'ha mandata per dimostrarmi che lei, al contrario nostro, almeno un leone l'ha visto, oppure perchè, vista la criniera del leone, ha notato una incredibile somiglianza con me!!
Non ho ancora capito se me l'ha mandata per dimostrarmi che lei, al contrario nostro, almeno un leone l'ha visto, oppure perchè, vista la criniera del leone, ha notato una incredibile somiglianza con me!!
mercoledì 20 agosto 2008
Buon compleanno Beira!
20 agosto 2008, o Dia da cidade: Beira compie 101 anni!!
Il Grande Hotel di Beira oggi
Praça do Municipio
Praça do Municipio oggi
La stazione della ferrovia
Il grande albergo vicino alla spiaggia - Estoril
Lo stesso albergo qualche anno dopo
Il faro di Macuti
Il relitto di fronte al faro di Macuti
www.pt.wikipedia.org
www.it.wikipedia.org
www.en.wikipedia.org
www.municipiobeira.gov.mz
Google Earth
Come regalo di compleanno mi sono messo a cercare in internet qualche notizia storica e qualche vecchia foto.
Beira, popolazione nel 1997 412.588, nel 2007 436.240, stima di 439.264 per il 2008; crescita annua del 0.69%; latitudine 19.83°S, longitudine 34.84°E; provincia di Sofala.
Storia
Durante gli anni che precedettero l’arrivo degli europei, la regione di Bangwe, insieme alla foce del fiume un tempo chiamato Aruangwa – attuale Pungwe – era abitata da popolazioni native, gli Vabangwe (o Bangwe), comunità essenzialmente di pescatori. La regione era sotto il dominio del regno di Sedanda, Vassallo dell’Impero di Monomotapa, al quale i bangwe dovevano pagare regolarmente un tributo. Nella metà del secolo XIX, a causa dell’invasione degli Nguni dal sud, l’influenza dell’Impero Monomotapa diminuì, consentendo il dominio della regione da parte dell’Impero di Gaza, che partendo dal sud del Mozambico stava estendendo il proprio dominio verso nord, forte di una buona organizzazione e capacità guerriera, Fu in questa situazione che il portoghese Joaquim Carlos de Andrade arrivò per la prima volta nella regione Bangwe, mentre si proponeva di studiare la navigabilità del fiume Pungwe. Facendo un passo indietro, la prima presenza portoghese nel territorio di Sofala, fu tra il 1400 e il 1500, quando la flotta di Pedro Alvares Cabral ricevette il compito di stabilire una rotta commerciale in Sofala. E così Pedro inviò una delle sua navi, capitanata da Rancho de Toar, a scoprire il famoso porto di Sofala. In seguito, nel 1502, arrivò la seconda armata di Vasco da Gama. Intanto in Portogallo, il Re decise di ergere una fortezza in Sofala e creare una organizzazione di mercanti, per il recupero dell’oro proveniente dall’Impero di Monomotapa. Per compiere la missione fu scelto il Capitano Pero de Nhaya, anche conosciuto come Pero de Anaia, arrivato a Sofala il 4 settembre 1505. Sofala divenne uno dei maggiori porti commerciali dell’Africa orientale. Ma lo sviluppo di questa regione cominciò molto più tardi, a causa delle guerre tra il Portogallo e la Corona Spagnola, che contribuirono alla riduzione del commercio e all’abbandono delle infrastrutture già esistenti. Verso il 1895 cominciarono le spedizioni alla scoperta della parte più interna della regione, che portarono il Tenente-colonnello di artiglieria, Joaquim Carlos Paiva de Andrade, chiamato Mafambisse dai locali, fino alle terre di Gorongosa, Mossurize e all’attraversammernto del fiume Pungwe; in seguito gli fu proposto lo studio della navigabilità di questo fiume. Il 4 luglio 1884 fu decretata la fondazione di un comando militare nella regione di Aruangwa, sulla costa destra del fiume Pungwe. Il Comando fu creato il 22 luglio 1887, sulla parte sinistra e non destra del fiume, visto che difficilmente fu trovato un terreno idoneo per la sua costruzione (la zona era completamente sommersa durante l’alta marea). Il Comando Militare di Aruangwa fu inaugurato il 20 agosto 1887 dall’allora Governatore di Manica e Sofala, il Tenente-colonnello Jorge Pinto de Morais Sarmento. Nacque così l’attuale Beira, che inizialmente fu chiamata Chiveve, dal nome di un corso d’acqua della zona. La città ricevette il nome attuale in omaggio al Principe da Beira, Don Luis Filipe, primogenito di Don Carlos I. Beira ottenne lo Statuto di città il 20 agosto 1907.
Il Grande Hotel di BeiraBeira, popolazione nel 1997 412.588, nel 2007 436.240, stima di 439.264 per il 2008; crescita annua del 0.69%; latitudine 19.83°S, longitudine 34.84°E; provincia di Sofala.
Storia
Durante gli anni che precedettero l’arrivo degli europei, la regione di Bangwe, insieme alla foce del fiume un tempo chiamato Aruangwa – attuale Pungwe – era abitata da popolazioni native, gli Vabangwe (o Bangwe), comunità essenzialmente di pescatori. La regione era sotto il dominio del regno di Sedanda, Vassallo dell’Impero di Monomotapa, al quale i bangwe dovevano pagare regolarmente un tributo. Nella metà del secolo XIX, a causa dell’invasione degli Nguni dal sud, l’influenza dell’Impero Monomotapa diminuì, consentendo il dominio della regione da parte dell’Impero di Gaza, che partendo dal sud del Mozambico stava estendendo il proprio dominio verso nord, forte di una buona organizzazione e capacità guerriera, Fu in questa situazione che il portoghese Joaquim Carlos de Andrade arrivò per la prima volta nella regione Bangwe, mentre si proponeva di studiare la navigabilità del fiume Pungwe. Facendo un passo indietro, la prima presenza portoghese nel territorio di Sofala, fu tra il 1400 e il 1500, quando la flotta di Pedro Alvares Cabral ricevette il compito di stabilire una rotta commerciale in Sofala. E così Pedro inviò una delle sua navi, capitanata da Rancho de Toar, a scoprire il famoso porto di Sofala. In seguito, nel 1502, arrivò la seconda armata di Vasco da Gama. Intanto in Portogallo, il Re decise di ergere una fortezza in Sofala e creare una organizzazione di mercanti, per il recupero dell’oro proveniente dall’Impero di Monomotapa. Per compiere la missione fu scelto il Capitano Pero de Nhaya, anche conosciuto come Pero de Anaia, arrivato a Sofala il 4 settembre 1505. Sofala divenne uno dei maggiori porti commerciali dell’Africa orientale. Ma lo sviluppo di questa regione cominciò molto più tardi, a causa delle guerre tra il Portogallo e la Corona Spagnola, che contribuirono alla riduzione del commercio e all’abbandono delle infrastrutture già esistenti. Verso il 1895 cominciarono le spedizioni alla scoperta della parte più interna della regione, che portarono il Tenente-colonnello di artiglieria, Joaquim Carlos Paiva de Andrade, chiamato Mafambisse dai locali, fino alle terre di Gorongosa, Mossurize e all’attraversammernto del fiume Pungwe; in seguito gli fu proposto lo studio della navigabilità di questo fiume. Il 4 luglio 1884 fu decretata la fondazione di un comando militare nella regione di Aruangwa, sulla costa destra del fiume Pungwe. Il Comando fu creato il 22 luglio 1887, sulla parte sinistra e non destra del fiume, visto che difficilmente fu trovato un terreno idoneo per la sua costruzione (la zona era completamente sommersa durante l’alta marea). Il Comando Militare di Aruangwa fu inaugurato il 20 agosto 1887 dall’allora Governatore di Manica e Sofala, il Tenente-colonnello Jorge Pinto de Morais Sarmento. Nacque così l’attuale Beira, che inizialmente fu chiamata Chiveve, dal nome di un corso d’acqua della zona. La città ricevette il nome attuale in omaggio al Principe da Beira, Don Luis Filipe, primogenito di Don Carlos I. Beira ottenne lo Statuto di città il 20 agosto 1907.
Il Grande Hotel di Beira oggi
Praça do Municipio
Praça do Municipio oggi
La stazione della ferrovia
Il grande albergo vicino alla spiaggia - Estoril
Lo stesso albergo qualche anno dopo
Il faro di Macuti
Il relitto di fronte al faro di Macuti
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domenica 17 agosto 2008
Sabato 26 luglio 2008: 33 anni!!
Per il 100° post del Blog, ecco come ho festeggiato il mio compleanno...
...dunque…il 25 passiamo la giornata in un vero e proprio paradiso tropicale nell’arcipelago delle Quirimbas, nel nord del Mozambico: su una spiaggia bianca davanti ad un mare che non ci credi, passeggiata tra le capanne del villaggio di pescatori, cena con frutti di mare, a lume di lanterna a gasolio in riva al mare… …e fin qui tutto bene, anzi una meraviglia; varrebbe quasi la pena passare anche il sabato, giorno del mio compleanno, in questo posto paradisiaco, o no?...No! Stretti con i tempi della tabella di marcia, decidiamo di spostarci e proseguire il viaggio di rientro verso Beira. La giornata comincia con sveglia alle 4.15 (am!!) per essere pronti zaini in spalla e prendere lo chapa (mezzo di trasporto pubblico locale) delle 5 (il primo e anche l’unico del giorno). Operativi e puntuali (la prima volta in tutto il viaggio), ancora accecati dalle cispe negli occhi, aspettiamo sotto una leggera pioggerella che fa temere per il peggio, ma che, fortunatamente, cessa dopo pochi minuti. In perfetto ritardo di un’ora arriva il nostro mezzo di trasporto, un camioncino con cassone aperto su cui sono già sistemate una decina di persone sedute sui rispettivi sacchi e borsoni. Lanciamo gli zaini sul cassone e saliamo un po’ impacciati (io ho fallito il mio solito tentativo di Fosbury) sotto lo sguardo fisso e un po’ stranito degli altri passeggeri, che da subito cominciano a ridacchiare e commentare in lingua locale, di cui capiamo solo la parola muzungu (uomo bianco). Finalmente partiamo, ma ogni 10-20 minuti ci fermiamo per caricare altre persone; uno addirittura carica un motorino sul retro del cassone! Poi iniziano a salire le immancabili signore, più o meno giovani, avvolte dalle capulane multi-colore per ripararsi dal vento, piene di bambini, e pure di galline che fanno casino fino a quando vengono “calmate” dagli altri passeggeri (immagino con la intramontabile tecnica del “tiraggio del collo”). La mia posizione è scomodissima e dopo mezz’ora di viaggio già non sento più il piede sinistro! Ad ogni buca che prendiamo tutti ci solleviamo di mezzo metro, e ad ogni salto ne approfitto per tentare di incastrarmi meglio, mentre il cassone continua a riempirsi inesorabilmente. Ad ogni sosta vediamo una folla di gente che deve salire e ci chiediamo come sia possibile caricare tutti, ma ogni volta ci stupiamo di come l’addetto al palco VIP trovi una soluzione. Le donne continuano a fissarci, una bambina ci guarda e piange, immagino spaventata dall’uomo bianco (beh, come darle torto!); una vecchia ci fissa con una sigaretta piantata in bocca…al contrario!!...guardo meglio, sì ha proprio il filtro fuori dalla bocca e la parte accesa dentro, e il fumo che esce quando apre un po’ le labbra; una tecnica che da queste parti avrei poi rivisto più volte. Dopo più di due ore la prima tappa del viaggio è quasi alla fine; prima di arrivare alla fermata degli chapa, ci fermiamo per una sosta-bagno, e in molti ci sparpagliamo vicino al camioncino; anche le donne ne approfittano per andare in bagno, sedendosi a terra e “scampanando” le capulane. Arrivati finalmente a destinazione, saltiamo giù dal cassone e tiriamo giù lo zaino, ma mentre tento di aprire una tasca, la cerniera mi rimane in mano, facendomi sospettare che la giornata potrebbe avere altre sorprese in serbo per noi. La seconda tappa è fin troppo facile: saliamo su un autobus, posti a sedere, ordinato, quasi pulito, addetto ai biglietti che passa a ritirare i soldi con tanto di ricevuta; purtroppo finisce presto, dopo mezz’ora è già ora di scendere, siamo arrivati all’incrocio con la strada sterrata che dobbiamo prendere. Ormai ci sembra di essere a buon punto con il nostro viaggio e ci sediamo sotto un albero fiduciosi di arrivare presto a destinazione…e aspettiamo…aspettiamo…aspettiamo, e così passano due lunghe ore di attesa, fino a quando arriva un altro camioncino con cassone (ancora!). Saliamo tutti ordinatamente, e il gruppo appare più organizzato di quello della mattina, e cerchiamo di disporre al meglio le nostre cose; questa volta al posto del motorino ci sono due biciclette, e al posto delle galline c’è un’enorme capra che hanno legato per le zampe e sbattuto sul cassone, ovviamente di fianco a me! Il viaggio prosegue bene, a parte un pedale della bici che ogni tanto mi entra nel fianco destro, e la povera bestia che continua a lamentarsi gridandomi nelle orecchie. Giunti ad una salita con fondo sabbioso il camioncino si impianta; tutti gli uomini giù, a liberare i pneumatici dalla sabbia, scavare un solco davanti alle ruote, e poi spingere: prima di arrivare alla fine della salita ci blocchiamo almeno altre tre volte e ogni volta ripetiamo lo stesso rituale. A me tocca il posto del muzungu (uomo bianco e anche un po’ coglione), ovvero esattamente dietro la ruota posteriore sinistra; e mentre sono lì sotto il sole a picco di mezzogiorno, sudato fradicio, a spingere ‘sto maledetto carrozzone mentre le ruote mi sparano in faccia chili di sabbia, mi chiedo come cazzo ci è venuto in mente di lasciare la spiaggietta con le palme!! Ripigliati dalla fatica e asciugati dal vento, arriviamo senza ulteriori problemi a Bilibiza, dove termina la corsa del nostro “autobus” e siamo costretti a scendere per prendere la “coincidenza” per il porto di Quissanga (il piccolo porto dove, tra l’altro, abbiamo parcheggiato la macchina quasi in ebollizione giorni prima!). Altro albero, altra attesa, mentre davanti a noi scorre il tranquillo sabato di Bilibiza:
ore 12 mangiamo dei panini spiaccicati dentro gli zaini e apriamo una papaia;
ore 13 bambini giocano e corrono lungo la strada; a turno si fermano per osservare gli strani tipi con gli zaini seduti all’ombra dell’albero; le bambine sorridono e scappano, i maschi più temerari ballano davanti a noi, un ragazzino passa e ci mostra il culo, io penso ad una usanza del posto per dire “Ciao e benvenuti a Bilibiza”;
ore 14 il solito sbronzo (in anticipo sui festeggiamenti della notte) barcolla lungo la strada e comincia ad insultare e spintonare tutti; io dentro di me immagino già la scena in cui si accorge della nostra presenza e allora altro che mostrarci il culo! Ma un gruppo di suoi “amici” interviene e lo randella di manate e lo trascina in mutande per tutto il villaggio fino a casa;
ore 15 gli anziani del villaggio camminano con le braccia incrociate dietro la schiena (mancano solo i cantieri per commentare i lavori);
ore 16 donne cantano e battono il pilão a ritmo per pelare il riso;
ore 17 ragazzi e ragazze passeggiano sfoderando armi di seduzione e riti di corteggiamento (insomma la classica vasca del sabato pomeriggio in centro).
E così passa il nostro pomeriggio, in attesa, vana, di un mezzo per concludere lo spostamento previsto. E così, mentre il sole scappa a nascondersi dietro gli alberi, ci rendiamo conto che il nostro viaggio termina qui, uno dei posti più sfigati in cui puoi rimanere bloccato! Iniziamo a pensare a dove accamparci per la notte, anche se Bilibiza non è famosa per i suoi mega-hotel, e la guida del Mozambico ci conferma, testuali parole, che “a Bilibiza non c’è una minchia!”. Una possibilità sarebbe dormire dentro al Centro di Salute, o fingendoci malati (beh, io un po’ di fegato marcio ce l’ho), o chiedendo ospitalità in qualità di muganga in trasferta da Beira, ma purtroppo l’infermiere responsabile sta giocando a pallone, ci dicono. Così, di nuovo, ci sediamo ad aspettarlo (ormai ho sviluppato una calma zen, o forse sarà la saggezza dei 33 anni). Ma ad un certo punto la svolta imprevista: passa una macchina (la prima in tutto il pomeriggio) guidata da un indiano a cui chiediamo informazioni sul trasporto e sulle possibilità di alloggio. Purtroppo non ci sono buone notizie: trasporti non ne passano fino al giorno dopo, e alloggi neanche a parlarne. Lui impietosito dalle lacrime che ormai rigano le mie più-vecchie-di-ieri guance, ci offre una tenda nell’accampamento della sua ditta (ditta che si occupa di scavare pozzi per il rifornimento di acqua nella zona) e si offre di accompagnarci alla macchina il giorno dopo, e io, commosso e incredulo, mi trattengo a stento dal baciarlo; e così ci accompagna col gippone fino al campo, ci sistemiamo nella tenda, ci rinfreschiamo nella latrina, chiacchieriamo amabilmente con il nostro salvatore, e ci prepariamo a gustare la cena per il mio compleanno, un panino a testa con tonno e pomodoro, avanzo della giornata di viaggio. Così termina un magnifico trentesimo compleanno, cominciato male, proseguito peggio, finito in modo inaspettato a Bilibiza, posto in-culo-ai-lupi, dove fortunatamente la sorte, o chi per essa, ci è venuta in aiuto e ha evitato che la giornata finisse come già immaginavo e temevo:
Finale 1: morti di fame e stenti a Bilibiza, versione un po’ sfigata di “Into the wild”;
Finale 2: l’ubriacone molesto si ripiglia dalla sbronza, mi vede e mi scambia per uno di quelli che l’ha trascinato per le palle per la strada, e mi riserva lo stesso trattamento;
Finale 3: gli anziani del villaggio ci credono portoghesi tornati per far rinascere l’epoca coloniale a Bilibiza, e decidono di eliminarci mediante impalamento sulla pubblica piazza con il pilão delle signore, mentre i bambini fanno festa tutti intorno, e il ragazzino stronzo ci rimostra il culo!
...dunque…il 25 passiamo la giornata in un vero e proprio paradiso tropicale nell’arcipelago delle Quirimbas, nel nord del Mozambico: su una spiaggia bianca davanti ad un mare che non ci credi, passeggiata tra le capanne del villaggio di pescatori, cena con frutti di mare, a lume di lanterna a gasolio in riva al mare… …e fin qui tutto bene, anzi una meraviglia; varrebbe quasi la pena passare anche il sabato, giorno del mio compleanno, in questo posto paradisiaco, o no?...No! Stretti con i tempi della tabella di marcia, decidiamo di spostarci e proseguire il viaggio di rientro verso Beira. La giornata comincia con sveglia alle 4.15 (am!!) per essere pronti zaini in spalla e prendere lo chapa (mezzo di trasporto pubblico locale) delle 5 (il primo e anche l’unico del giorno). Operativi e puntuali (la prima volta in tutto il viaggio), ancora accecati dalle cispe negli occhi, aspettiamo sotto una leggera pioggerella che fa temere per il peggio, ma che, fortunatamente, cessa dopo pochi minuti. In perfetto ritardo di un’ora arriva il nostro mezzo di trasporto, un camioncino con cassone aperto su cui sono già sistemate una decina di persone sedute sui rispettivi sacchi e borsoni. Lanciamo gli zaini sul cassone e saliamo un po’ impacciati (io ho fallito il mio solito tentativo di Fosbury) sotto lo sguardo fisso e un po’ stranito degli altri passeggeri, che da subito cominciano a ridacchiare e commentare in lingua locale, di cui capiamo solo la parola muzungu (uomo bianco). Finalmente partiamo, ma ogni 10-20 minuti ci fermiamo per caricare altre persone; uno addirittura carica un motorino sul retro del cassone! Poi iniziano a salire le immancabili signore, più o meno giovani, avvolte dalle capulane multi-colore per ripararsi dal vento, piene di bambini, e pure di galline che fanno casino fino a quando vengono “calmate” dagli altri passeggeri (immagino con la intramontabile tecnica del “tiraggio del collo”). La mia posizione è scomodissima e dopo mezz’ora di viaggio già non sento più il piede sinistro! Ad ogni buca che prendiamo tutti ci solleviamo di mezzo metro, e ad ogni salto ne approfitto per tentare di incastrarmi meglio, mentre il cassone continua a riempirsi inesorabilmente. Ad ogni sosta vediamo una folla di gente che deve salire e ci chiediamo come sia possibile caricare tutti, ma ogni volta ci stupiamo di come l’addetto al palco VIP trovi una soluzione. Le donne continuano a fissarci, una bambina ci guarda e piange, immagino spaventata dall’uomo bianco (beh, come darle torto!); una vecchia ci fissa con una sigaretta piantata in bocca…al contrario!!...guardo meglio, sì ha proprio il filtro fuori dalla bocca e la parte accesa dentro, e il fumo che esce quando apre un po’ le labbra; una tecnica che da queste parti avrei poi rivisto più volte. Dopo più di due ore la prima tappa del viaggio è quasi alla fine; prima di arrivare alla fermata degli chapa, ci fermiamo per una sosta-bagno, e in molti ci sparpagliamo vicino al camioncino; anche le donne ne approfittano per andare in bagno, sedendosi a terra e “scampanando” le capulane. Arrivati finalmente a destinazione, saltiamo giù dal cassone e tiriamo giù lo zaino, ma mentre tento di aprire una tasca, la cerniera mi rimane in mano, facendomi sospettare che la giornata potrebbe avere altre sorprese in serbo per noi. La seconda tappa è fin troppo facile: saliamo su un autobus, posti a sedere, ordinato, quasi pulito, addetto ai biglietti che passa a ritirare i soldi con tanto di ricevuta; purtroppo finisce presto, dopo mezz’ora è già ora di scendere, siamo arrivati all’incrocio con la strada sterrata che dobbiamo prendere. Ormai ci sembra di essere a buon punto con il nostro viaggio e ci sediamo sotto un albero fiduciosi di arrivare presto a destinazione…e aspettiamo…aspettiamo…aspettiamo, e così passano due lunghe ore di attesa, fino a quando arriva un altro camioncino con cassone (ancora!). Saliamo tutti ordinatamente, e il gruppo appare più organizzato di quello della mattina, e cerchiamo di disporre al meglio le nostre cose; questa volta al posto del motorino ci sono due biciclette, e al posto delle galline c’è un’enorme capra che hanno legato per le zampe e sbattuto sul cassone, ovviamente di fianco a me! Il viaggio prosegue bene, a parte un pedale della bici che ogni tanto mi entra nel fianco destro, e la povera bestia che continua a lamentarsi gridandomi nelle orecchie. Giunti ad una salita con fondo sabbioso il camioncino si impianta; tutti gli uomini giù, a liberare i pneumatici dalla sabbia, scavare un solco davanti alle ruote, e poi spingere: prima di arrivare alla fine della salita ci blocchiamo almeno altre tre volte e ogni volta ripetiamo lo stesso rituale. A me tocca il posto del muzungu (uomo bianco e anche un po’ coglione), ovvero esattamente dietro la ruota posteriore sinistra; e mentre sono lì sotto il sole a picco di mezzogiorno, sudato fradicio, a spingere ‘sto maledetto carrozzone mentre le ruote mi sparano in faccia chili di sabbia, mi chiedo come cazzo ci è venuto in mente di lasciare la spiaggietta con le palme!! Ripigliati dalla fatica e asciugati dal vento, arriviamo senza ulteriori problemi a Bilibiza, dove termina la corsa del nostro “autobus” e siamo costretti a scendere per prendere la “coincidenza” per il porto di Quissanga (il piccolo porto dove, tra l’altro, abbiamo parcheggiato la macchina quasi in ebollizione giorni prima!). Altro albero, altra attesa, mentre davanti a noi scorre il tranquillo sabato di Bilibiza:
ore 12 mangiamo dei panini spiaccicati dentro gli zaini e apriamo una papaia;
ore 13 bambini giocano e corrono lungo la strada; a turno si fermano per osservare gli strani tipi con gli zaini seduti all’ombra dell’albero; le bambine sorridono e scappano, i maschi più temerari ballano davanti a noi, un ragazzino passa e ci mostra il culo, io penso ad una usanza del posto per dire “Ciao e benvenuti a Bilibiza”;
ore 14 il solito sbronzo (in anticipo sui festeggiamenti della notte) barcolla lungo la strada e comincia ad insultare e spintonare tutti; io dentro di me immagino già la scena in cui si accorge della nostra presenza e allora altro che mostrarci il culo! Ma un gruppo di suoi “amici” interviene e lo randella di manate e lo trascina in mutande per tutto il villaggio fino a casa;
ore 15 gli anziani del villaggio camminano con le braccia incrociate dietro la schiena (mancano solo i cantieri per commentare i lavori);
ore 16 donne cantano e battono il pilão a ritmo per pelare il riso;
ore 17 ragazzi e ragazze passeggiano sfoderando armi di seduzione e riti di corteggiamento (insomma la classica vasca del sabato pomeriggio in centro).
E così passa il nostro pomeriggio, in attesa, vana, di un mezzo per concludere lo spostamento previsto. E così, mentre il sole scappa a nascondersi dietro gli alberi, ci rendiamo conto che il nostro viaggio termina qui, uno dei posti più sfigati in cui puoi rimanere bloccato! Iniziamo a pensare a dove accamparci per la notte, anche se Bilibiza non è famosa per i suoi mega-hotel, e la guida del Mozambico ci conferma, testuali parole, che “a Bilibiza non c’è una minchia!”. Una possibilità sarebbe dormire dentro al Centro di Salute, o fingendoci malati (beh, io un po’ di fegato marcio ce l’ho), o chiedendo ospitalità in qualità di muganga in trasferta da Beira, ma purtroppo l’infermiere responsabile sta giocando a pallone, ci dicono. Così, di nuovo, ci sediamo ad aspettarlo (ormai ho sviluppato una calma zen, o forse sarà la saggezza dei 33 anni). Ma ad un certo punto la svolta imprevista: passa una macchina (la prima in tutto il pomeriggio) guidata da un indiano a cui chiediamo informazioni sul trasporto e sulle possibilità di alloggio. Purtroppo non ci sono buone notizie: trasporti non ne passano fino al giorno dopo, e alloggi neanche a parlarne. Lui impietosito dalle lacrime che ormai rigano le mie più-vecchie-di-ieri guance, ci offre una tenda nell’accampamento della sua ditta (ditta che si occupa di scavare pozzi per il rifornimento di acqua nella zona) e si offre di accompagnarci alla macchina il giorno dopo, e io, commosso e incredulo, mi trattengo a stento dal baciarlo; e così ci accompagna col gippone fino al campo, ci sistemiamo nella tenda, ci rinfreschiamo nella latrina, chiacchieriamo amabilmente con il nostro salvatore, e ci prepariamo a gustare la cena per il mio compleanno, un panino a testa con tonno e pomodoro, avanzo della giornata di viaggio. Così termina un magnifico trentesimo compleanno, cominciato male, proseguito peggio, finito in modo inaspettato a Bilibiza, posto in-culo-ai-lupi, dove fortunatamente la sorte, o chi per essa, ci è venuta in aiuto e ha evitato che la giornata finisse come già immaginavo e temevo:
Finale 1: morti di fame e stenti a Bilibiza, versione un po’ sfigata di “Into the wild”;
Finale 2: l’ubriacone molesto si ripiglia dalla sbronza, mi vede e mi scambia per uno di quelli che l’ha trascinato per le palle per la strada, e mi riserva lo stesso trattamento;
Finale 3: gli anziani del villaggio ci credono portoghesi tornati per far rinascere l’epoca coloniale a Bilibiza, e decidono di eliminarci mediante impalamento sulla pubblica piazza con il pilão delle signore, mentre i bambini fanno festa tutti intorno, e il ragazzino stronzo ci rimostra il culo!
sabato 9 agosto 2008
Viaggione!
Questa volta la prolungata assenza dal Blog non è dipesa dagli impegni di lavoro ma, fortunatamente, dalle tre settimane di ferie in cui abbiamo viaggiato nel nord del Mozambico.
E' stato un viaggio spettacolare, abbiamo visto luoghi meravigliosi e conosciuto persone e personaggi da ricordare. Abbiamo percorso 4500 Km in tre settimane, tra strade di asfalto perfetto, strade con buchi enormi e pista di sabbia e terra, e ovviamente la macchina ci ha mollato nel punto più lontano, sulla strada per andare a Quissanga, un piccolo porto per raggiungere l'arcipelago delle Quirimbas; ma alla fine siamo riusciti a tornare a Beira.
L'itinerario è stato: Beira - Caia - Mocuba - Gurué - Nampula - Ilha de Moçambique - Pemba - Quissanga - Ilha de Ibo - Pangane e poi stesso giro per il ritorno. Chi volesse fare un giro da queste parti e avesse bisogno di informazioni sui costi e su dove dormire, può scrivermi una mail. E adesso una piccolissima selezione delle 850 foto che abbiamo scattato durante il viaggio...
Questa è la mappa del Mozambico con evidenziato il percorso, all'andata in bianco, e al ritorno in arancione
In attesa del traghetto per attraversare il Rio Zambesi, dopo aver lasciato gli amici del Consorzio di Trento, a Caia.
I magnifici paesaggi di Gurué con le infinite distese di piantagioni di thé
Sulla strada verso Nampula
Giocando con i bambini sull'Ilha de Moçambique
Con la macchina surriscaldata sulla strada per il minuscolo porto di Quissanga, 6 ore per fare 230 Km!!
Un vecchio maestro orefice mentre ci mostra come lavorare l'argento nel Forte Sao Joao sull'incantevole Isola di Ibo, nell'arcipelago delle Quirimbas
Ancora a Ibo, dove abbiamo passato ore ad ascoltare lo "storico" dell'isola, l'ottantaduenne Joao Baptista, che consultando gli appunti di una vita ci ha raccontato della vita sull'isola durante la guerra per l'indipendenza dal Portogallo e la successiva guerra civile tra Frelimo e Renamo
Una giro sulle caratteristiche imbarcazioni locali, le Dhow, fino al "banco de areia", una lingua di sabbia circondata dal mare
E' stato un viaggio spettacolare, abbiamo visto luoghi meravigliosi e conosciuto persone e personaggi da ricordare. Abbiamo percorso 4500 Km in tre settimane, tra strade di asfalto perfetto, strade con buchi enormi e pista di sabbia e terra, e ovviamente la macchina ci ha mollato nel punto più lontano, sulla strada per andare a Quissanga, un piccolo porto per raggiungere l'arcipelago delle Quirimbas; ma alla fine siamo riusciti a tornare a Beira.
L'itinerario è stato: Beira - Caia - Mocuba - Gurué - Nampula - Ilha de Moçambique - Pemba - Quissanga - Ilha de Ibo - Pangane e poi stesso giro per il ritorno. Chi volesse fare un giro da queste parti e avesse bisogno di informazioni sui costi e su dove dormire, può scrivermi una mail. E adesso una piccolissima selezione delle 850 foto che abbiamo scattato durante il viaggio...
Questa è la mappa del Mozambico con evidenziato il percorso, all'andata in bianco, e al ritorno in arancione
In attesa del traghetto per attraversare il Rio Zambesi, dopo aver lasciato gli amici del Consorzio di Trento, a Caia.
I magnifici paesaggi di Gurué con le infinite distese di piantagioni di thé
Sulla strada verso Nampula
Giocando con i bambini sull'Ilha de Moçambique
Con la macchina surriscaldata sulla strada per il minuscolo porto di Quissanga, 6 ore per fare 230 Km!!
Un vecchio maestro orefice mentre ci mostra come lavorare l'argento nel Forte Sao Joao sull'incantevole Isola di Ibo, nell'arcipelago delle Quirimbas
Ancora a Ibo, dove abbiamo passato ore ad ascoltare lo "storico" dell'isola, l'ottantaduenne Joao Baptista, che consultando gli appunti di una vita ci ha raccontato della vita sull'isola durante la guerra per l'indipendenza dal Portogallo e la successiva guerra civile tra Frelimo e Renamo
Una giro sulle caratteristiche imbarcazioni locali, le Dhow, fino al "banco de areia", una lingua di sabbia circondata dal mare
Altro giro in barca tra le splendide isole dell'arcipelago delle Quirimbas; prima sosta nell'isola di Matemo
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