Per non danneggiare l’habitat degli elefanti, la raffineria di petrolio che doveva essere costruita a Matutuine, nel sud del paese, a partire da fine anno sarà realizzata in un’altra regione del Mozambico. Ad annunciarlo è la Oilmoz, l’azienda di Maputo a capitale privato impegnata nella costruzione della raffineria, la prima in Mozambico dopo la chiusura dell’ultimo impianto nel 1987. Con una capacità prevista di 350.000 barili al giorno e un costo stimato in 5,6 miliardi di euro, la raffineria di petrolio sarebbe stata edificata nel mezzo di una riserva naturale in cui vivono diverse centinaia di elefanti, la cui popolazione in Mozambico è stata decimata durante la guerra civile che ha coinvolto il paese tra il 1976 e il 1992. “Per evitare danni all’ambiente – ha detto un portavoce di Oilmoz – e proteggere la biodiversità, abbiamo deciso autonomamente di costruire l’impianto altrove, a Marracuene, 50 chilomentri a nord di Maputo”. Il Mozambico consuma circa 17.000 barili di petrolio al giorno; oltre a ridurre il costo della benzina, a oggi tutta d’importazione, la raffineria dovrebbe consentire di esportare circa 330.000 barili nei paesi dell’Africa australe e in primo luogo in Sudafrica.
www.misna.org
giovedì 13 agosto 2009
mercoledì 12 agosto 2009
Grande Hotel da Beira
La storia e i numeri
Nel 1952 si aprono le porte del Grande Hotel di Beira. Di proprietá della Companhia de Moçambique, con i suoi 12.000 metri quadri di sfarzo viene considerato The Pride of Africa, il piú grande e lussuoso albergo del continente. Il progetto iniziale prevede un costo di 35.000 Contos (175.000 Euro). L’arquitetto José Porto viene sostituito durante i lavori dal piú giovane Francisco de Castro, che porta a termine i lavori con un costo finale di 90.000 Contos (450.000 Euro!!). Tre piani, grandi scalinate, larghi corridoi, discoteca con aria condizionata (un lusso a quei tempi), pavimenti completamente di legno, cucine e lavanderia con materiali tedeschi all’avanguardia, mobili di legno provenienti da Lisbona, innovative porte degli ascensori Securit, piscina olimpionica. Perfino un casinó, mai aperto poiché mai autorizzato da Salazar, sotto la pressione dell’allora Vescovo di Beira Dom Sebastião de Resende e dei governi di Swaziland e Rodesia (attuale Zambia) intimoriti dalla possibile concorrenza per i loro casinó. Il Grande Hotel ha peró vita breve. L’attivitá crolla dopo solo due anni dall’apertura, complici una gestione incapace e uno scarso afflusso di turisti. Nel 1963 la chiusura definitiva. Per tutti gli anni sessanta rimangono aperti la piscina, la sala conferenze e la discoteca. L’ultimo evento mondano risale alla festa di capodanno del 1980. Durante la guerra civile inizia l’occupazione dell’edificio, inizialmente dai militari, successivamente dalle famiglie di civili in cerca di un rifugio. Nei sotterranei vengono rinchiusi i prigionieri politici. Negli anni successivi Samora Machel, primo Presidente mozambicano, propone, senza successo, una riabilitazione dell’edificio. Nel 1985 ne viene proposta la demolizione, ma senza proporre una alternativa valida per le famiglie, che si oppongono allo sgombero. Attualmente si stima che siano circa 830 le famiglie all’interno dell’albergo, quasi 2000 persone!!
Visita al Grande Hotel
Finalmente siamo entrati nel famoso, anzi famigerato, Grande Hotel di Beira. Ci siamo riusciti aggregandoci ad alcune suore, che da anni promuovono iniziative a sostegno dei più bisognosi tra i numerosi abitanti dell’Hotel (corsi di cucito e attività con i bambini orfani). Ci accompagnano suor Maria Augusta, di Capo Verde, la tipica suora missionaria con le palle, e dona Isabel, una signora che aiuta nell’organizzazione dei corsi di cucito.
Il piccolo gruppo arriva davanti al Grande Hotel (GH) in perfetto orario. Mai prima d’ora eravamo arrivati così vicino all’enorme eco-mostro. Da qui sotto sembra ancora più gigantesco. Tentiamo di immaginare quante persone possano esserci stipate dentro. Ora non ci resta che aspettare il permesso per entrare. Il segretario del GH (come il segretario di qualsiasi altro bairro della città) deve autorizzarci. Ma sembra che nessuno sappia dove sia finito. Suor Maria Augusta sfodera il mega-cellulare e cerca di rintracciarlo. Niente. Dicono che sia sparito nei meandri dell’albergo. Mi scoraggio. La suora maroni-munita decide di entrare a cercarlo. Entra con passo deciso, sparisce nel buio dell’ex-salone.
Aspettiamo fuori, mentre la vita del GH ci scorre davanti. Donne sedute di fianco ai pochi prodotti da vendere. Bambini (molti) giocano e si rincorrono (per poco non mi tirano giù dona Isabel!). Ragazzi che tornano da scuola (i pochi che ancora ci vanno). Uomini seduti a chiacchierare davanti ad una bottiglia di agua ardente (“acqua” a 40 gradi!). Scene di vita quotidiana ormai familiari. Nel frattempo Isabel ci spiega come non sia facile collaborare con le donne per il corso di cucito. Non possono lasciare il materiale al GH (sparirebbe in pochi istanti). E le donne non sembrano molto interessate ad imparare un lavoro (aqui as mulheres são preguiçosas! – Qui le donne sono pigre!).
Ritorna la suora capoverdiana con dona Chica. Sarà lei ad accompagnarci nella visita. Abbiamo anche il permesso per le foto. Chica vive qui dentro da quindici anni. -Chissà se uscirò mai!- Sorride. Non capisco se la consideri una cosa negativa.
Entriamo nell’immenso, deserto, buio salone. Saliamo le enormi scalinate. Afferro la sciura Isabel. Mica che mi caschi di sotto (il legno dei corrimano e del parquet se lo sono bruciato da mó). Passiamo per lunghi corridoi. Oscurità impenetrabile. Interminabili file di porte tutte uguali si succedono sui due lati. Mi sembra di essere nell’Overlook Hotel di Shining (se vedo un bambino con il triciclo lo piglio a scarpate!). In fondo al tunnel, finalmente…la luce!! Arriviamo ad un’altra ala dell’albergo. Chica ci mostra l’ingresso dell’appartamento dove abitava un tempo, prima di trasferirsi con tutta la famiglia, sempre più numerosa (è appena nato il suo ultimo figlio, il più giovane abitante del GH).
Rimango un po’ stupito. Prima di entrare mi immaginavo una scena differente. Pensavo ad una marea di gente, corridoi affollati, confusione, musica, sporcizia. Avevo in mente le foto che abbiamo scattato nella Rocinha, la più grande favela di Rio de Janeiro. Mi aspettavo una favela concentrata in dodicimilametriquadri. Niente di tutto ciò. Silenzio assoluto. Gli unici rumori vengono dalla strada. E soprattutto nessuno in giro. Tutti in giro per le strade o chiusi nelle stanze (ogni famiglia ha la propria).
Altra sorpresa: pur senza acqua corrente ed energia elettrica, i corridoi sono discretamente puliti. Chica ci spiega che ogni famiglia si occupa delle pulizie degli spazi comuni. Tutta l’immondizia viene accumulata nei vani degli ascensori e in alcune rampe di scale (ormai i rifiuti arrivano fino all’ultimo piano). Nei vani, senza nessuna porta o protezione, oltre ai rifiuti ci finiscono anche i bambini. Fortunatamente fino ad ora non è morto nessuno (forse proprio grazie ai rifiuti!).
Arriviamo sulla enorme terrazza, dove un tempo non lontano organizzavano serate danzanti. La vista è stupenda. Beira a trecentosessantagradi. La piscina olimpionica trasformata in pozza d’acqua piovana, enorme lavabo per i panni sporchi. L’Hotel Miramar. L’Oceania, famigerato Night Club, con i battenti chiusi da anni. I tetti delle case, le lussuose dimore coloniali di Ponta Gea. Il Predio dos Casamentos, dove giovani coppie vanno a sposarsi. Il mercato di Praia Nova. E poi mare. Tutto intorno mare. Il mare di Beira, che la giornata cupa di oggi rende ancora più grigio-topo. Aggrappato alle macerie del cornicione… un albero. -Eccheccifa un albero in terrazza?- Chiedo. Mi dicono che le radici sono salite dal giardino (mah! Non mi convince molto, ma annuisco e apro leggermente la bocca in segno di meraviglia).
Qui conosciamo un altro abitante dell’albergo. Vive qui da diciotto anni. Figlio di un militare trasferito qui dopo la fine della guerra di Indipendenza. Ci dice che nemmeno il segretario sa con esattezza quante persone vivano qui dentro. Le stanze numerate sono trecentouno. Più le stanze non numerate. Più gli scantinati. Più i grandi saloni usati come dormitori la notte. Si pensa piú di duemila persone!!
Tra queste molti non lavorano, altri sopravvivono con piccoli lavoretti, alcuni rubano. Ma qui ci vivono anche infermieri, impiegati statali, perfino poliziotti! Insomma tutti quelli che non possono permettersi di pagare per avere un tetto sopra la testa. Qui non si paga affitto, la luce non c’è, l’acqua si prende dalla torneira (fontana) vicino all’ingresso. Ma per venire a vivere qui devi pagare. Chi si trasferisce vende il proprio spazio al nuovo arrivato. Qualcuno addirittura è riuscito a comprare una casa fuori, che affitta, continuando a vivere nel GH.
Anche qui, come in ogni micromondo che si rispetti, non mancano luoghi di culto e scuole. Ci sono spazi dove vengono celebrate messe. C’è una piccola moschea. Piccole scuole improvvisate accolgono lezioni per i bambini più piccoli (come già detto la maggior parte dei bambini ha già lasciato la scuola: troppi i costi per i libri, la divisa, il trasporto…).
Ci congediamo dal nostro ospite. Torniamo sui nostri passi. Stessi corridoi, o almeno credo. Ogni tanto dietro qualche angolo spunta qualche piccola bancarella. Zucchero. Sapone. Fiammiferi. Candele. Uova. Insalata. Qualche pomodoro. Piccole macchie di colore su uno sfondo grigio, uniforme, denso.
Mentre ci avviciniamo all’uscita, di nuovo stupiti dal silenzio, chiediamo dove sono tutti i bambini. Un altoparlante dalla strada ci risponde. L’ora del pane. Come ogni giorno, puntuale, arriva, nel parchetto davanti al GH, un furgoncino che distribuisce gratuitamente il pane ai bambini. Una fila quasi ordinata di piccoli e meno piccoli aspetta con la mano tesa la propria michetta (deformazione da milanese, uela!). Ci avviciniamo e iniziamo a scattare qualche foto. Subito veniamo assaliti da una gioiosa folle urlante, saltante, agitante-la-mano-con-panino. Scattiamo altre foto tra le grida assordanti. In sottofondo dal megafono continuano incessanti gli elogi per il Presidente Armando Guebuza (campagna elettorale in vista delle elezioni di ottobre?).
Salutiamo e ringraziamo le nostre preziose guide. Ormai la precoce oscurità pomeridiana sta scendendo sulla città. L’imponente silhuette si allontana alle nostre spalle. Il Grande Hotel di Beira, the pride of Africa! I resti degli antichi fasti. Quello che rimane di una maestositá senza senso. Un monumento all’inutilità. Ci chiediamo che senso abbia avuto. Quanti soldi buttati via. Non c’era un modo migliore per rendere orgogliose Beira e l’Africa?
GianMuga
Wikipedia
Paola Rolletta – Expresso, Savana
Mocambique para todos
Noticias
Nel 1952 si aprono le porte del Grande Hotel di Beira. Di proprietá della Companhia de Moçambique, con i suoi 12.000 metri quadri di sfarzo viene considerato The Pride of Africa, il piú grande e lussuoso albergo del continente. Il progetto iniziale prevede un costo di 35.000 Contos (175.000 Euro). L’arquitetto José Porto viene sostituito durante i lavori dal piú giovane Francisco de Castro, che porta a termine i lavori con un costo finale di 90.000 Contos (450.000 Euro!!). Tre piani, grandi scalinate, larghi corridoi, discoteca con aria condizionata (un lusso a quei tempi), pavimenti completamente di legno, cucine e lavanderia con materiali tedeschi all’avanguardia, mobili di legno provenienti da Lisbona, innovative porte degli ascensori Securit, piscina olimpionica. Perfino un casinó, mai aperto poiché mai autorizzato da Salazar, sotto la pressione dell’allora Vescovo di Beira Dom Sebastião de Resende e dei governi di Swaziland e Rodesia (attuale Zambia) intimoriti dalla possibile concorrenza per i loro casinó. Il Grande Hotel ha peró vita breve. L’attivitá crolla dopo solo due anni dall’apertura, complici una gestione incapace e uno scarso afflusso di turisti. Nel 1963 la chiusura definitiva. Per tutti gli anni sessanta rimangono aperti la piscina, la sala conferenze e la discoteca. L’ultimo evento mondano risale alla festa di capodanno del 1980. Durante la guerra civile inizia l’occupazione dell’edificio, inizialmente dai militari, successivamente dalle famiglie di civili in cerca di un rifugio. Nei sotterranei vengono rinchiusi i prigionieri politici. Negli anni successivi Samora Machel, primo Presidente mozambicano, propone, senza successo, una riabilitazione dell’edificio. Nel 1985 ne viene proposta la demolizione, ma senza proporre una alternativa valida per le famiglie, che si oppongono allo sgombero. Attualmente si stima che siano circa 830 le famiglie all’interno dell’albergo, quasi 2000 persone!!
Visita al Grande Hotel
Finalmente siamo entrati nel famoso, anzi famigerato, Grande Hotel di Beira. Ci siamo riusciti aggregandoci ad alcune suore, che da anni promuovono iniziative a sostegno dei più bisognosi tra i numerosi abitanti dell’Hotel (corsi di cucito e attività con i bambini orfani). Ci accompagnano suor Maria Augusta, di Capo Verde, la tipica suora missionaria con le palle, e dona Isabel, una signora che aiuta nell’organizzazione dei corsi di cucito.
Il piccolo gruppo arriva davanti al Grande Hotel (GH) in perfetto orario. Mai prima d’ora eravamo arrivati così vicino all’enorme eco-mostro. Da qui sotto sembra ancora più gigantesco. Tentiamo di immaginare quante persone possano esserci stipate dentro. Ora non ci resta che aspettare il permesso per entrare. Il segretario del GH (come il segretario di qualsiasi altro bairro della città) deve autorizzarci. Ma sembra che nessuno sappia dove sia finito. Suor Maria Augusta sfodera il mega-cellulare e cerca di rintracciarlo. Niente. Dicono che sia sparito nei meandri dell’albergo. Mi scoraggio. La suora maroni-munita decide di entrare a cercarlo. Entra con passo deciso, sparisce nel buio dell’ex-salone.
Aspettiamo fuori, mentre la vita del GH ci scorre davanti. Donne sedute di fianco ai pochi prodotti da vendere. Bambini (molti) giocano e si rincorrono (per poco non mi tirano giù dona Isabel!). Ragazzi che tornano da scuola (i pochi che ancora ci vanno). Uomini seduti a chiacchierare davanti ad una bottiglia di agua ardente (“acqua” a 40 gradi!). Scene di vita quotidiana ormai familiari. Nel frattempo Isabel ci spiega come non sia facile collaborare con le donne per il corso di cucito. Non possono lasciare il materiale al GH (sparirebbe in pochi istanti). E le donne non sembrano molto interessate ad imparare un lavoro (aqui as mulheres são preguiçosas! – Qui le donne sono pigre!).
Ritorna la suora capoverdiana con dona Chica. Sarà lei ad accompagnarci nella visita. Abbiamo anche il permesso per le foto. Chica vive qui dentro da quindici anni. -Chissà se uscirò mai!- Sorride. Non capisco se la consideri una cosa negativa.
Entriamo nell’immenso, deserto, buio salone. Saliamo le enormi scalinate. Afferro la sciura Isabel. Mica che mi caschi di sotto (il legno dei corrimano e del parquet se lo sono bruciato da mó). Passiamo per lunghi corridoi. Oscurità impenetrabile. Interminabili file di porte tutte uguali si succedono sui due lati. Mi sembra di essere nell’Overlook Hotel di Shining (se vedo un bambino con il triciclo lo piglio a scarpate!). In fondo al tunnel, finalmente…la luce!! Arriviamo ad un’altra ala dell’albergo. Chica ci mostra l’ingresso dell’appartamento dove abitava un tempo, prima di trasferirsi con tutta la famiglia, sempre più numerosa (è appena nato il suo ultimo figlio, il più giovane abitante del GH).
Rimango un po’ stupito. Prima di entrare mi immaginavo una scena differente. Pensavo ad una marea di gente, corridoi affollati, confusione, musica, sporcizia. Avevo in mente le foto che abbiamo scattato nella Rocinha, la più grande favela di Rio de Janeiro. Mi aspettavo una favela concentrata in dodicimilametriquadri. Niente di tutto ciò. Silenzio assoluto. Gli unici rumori vengono dalla strada. E soprattutto nessuno in giro. Tutti in giro per le strade o chiusi nelle stanze (ogni famiglia ha la propria).
Altra sorpresa: pur senza acqua corrente ed energia elettrica, i corridoi sono discretamente puliti. Chica ci spiega che ogni famiglia si occupa delle pulizie degli spazi comuni. Tutta l’immondizia viene accumulata nei vani degli ascensori e in alcune rampe di scale (ormai i rifiuti arrivano fino all’ultimo piano). Nei vani, senza nessuna porta o protezione, oltre ai rifiuti ci finiscono anche i bambini. Fortunatamente fino ad ora non è morto nessuno (forse proprio grazie ai rifiuti!).
Arriviamo sulla enorme terrazza, dove un tempo non lontano organizzavano serate danzanti. La vista è stupenda. Beira a trecentosessantagradi. La piscina olimpionica trasformata in pozza d’acqua piovana, enorme lavabo per i panni sporchi. L’Hotel Miramar. L’Oceania, famigerato Night Club, con i battenti chiusi da anni. I tetti delle case, le lussuose dimore coloniali di Ponta Gea. Il Predio dos Casamentos, dove giovani coppie vanno a sposarsi. Il mercato di Praia Nova. E poi mare. Tutto intorno mare. Il mare di Beira, che la giornata cupa di oggi rende ancora più grigio-topo. Aggrappato alle macerie del cornicione… un albero. -Eccheccifa un albero in terrazza?- Chiedo. Mi dicono che le radici sono salite dal giardino (mah! Non mi convince molto, ma annuisco e apro leggermente la bocca in segno di meraviglia).
Qui conosciamo un altro abitante dell’albergo. Vive qui da diciotto anni. Figlio di un militare trasferito qui dopo la fine della guerra di Indipendenza. Ci dice che nemmeno il segretario sa con esattezza quante persone vivano qui dentro. Le stanze numerate sono trecentouno. Più le stanze non numerate. Più gli scantinati. Più i grandi saloni usati come dormitori la notte. Si pensa piú di duemila persone!!
Tra queste molti non lavorano, altri sopravvivono con piccoli lavoretti, alcuni rubano. Ma qui ci vivono anche infermieri, impiegati statali, perfino poliziotti! Insomma tutti quelli che non possono permettersi di pagare per avere un tetto sopra la testa. Qui non si paga affitto, la luce non c’è, l’acqua si prende dalla torneira (fontana) vicino all’ingresso. Ma per venire a vivere qui devi pagare. Chi si trasferisce vende il proprio spazio al nuovo arrivato. Qualcuno addirittura è riuscito a comprare una casa fuori, che affitta, continuando a vivere nel GH.
Anche qui, come in ogni micromondo che si rispetti, non mancano luoghi di culto e scuole. Ci sono spazi dove vengono celebrate messe. C’è una piccola moschea. Piccole scuole improvvisate accolgono lezioni per i bambini più piccoli (come già detto la maggior parte dei bambini ha già lasciato la scuola: troppi i costi per i libri, la divisa, il trasporto…).
Ci congediamo dal nostro ospite. Torniamo sui nostri passi. Stessi corridoi, o almeno credo. Ogni tanto dietro qualche angolo spunta qualche piccola bancarella. Zucchero. Sapone. Fiammiferi. Candele. Uova. Insalata. Qualche pomodoro. Piccole macchie di colore su uno sfondo grigio, uniforme, denso.
Mentre ci avviciniamo all’uscita, di nuovo stupiti dal silenzio, chiediamo dove sono tutti i bambini. Un altoparlante dalla strada ci risponde. L’ora del pane. Come ogni giorno, puntuale, arriva, nel parchetto davanti al GH, un furgoncino che distribuisce gratuitamente il pane ai bambini. Una fila quasi ordinata di piccoli e meno piccoli aspetta con la mano tesa la propria michetta (deformazione da milanese, uela!). Ci avviciniamo e iniziamo a scattare qualche foto. Subito veniamo assaliti da una gioiosa folle urlante, saltante, agitante-la-mano-con-panino. Scattiamo altre foto tra le grida assordanti. In sottofondo dal megafono continuano incessanti gli elogi per il Presidente Armando Guebuza (campagna elettorale in vista delle elezioni di ottobre?).
Salutiamo e ringraziamo le nostre preziose guide. Ormai la precoce oscurità pomeridiana sta scendendo sulla città. L’imponente silhuette si allontana alle nostre spalle. Il Grande Hotel di Beira, the pride of Africa! I resti degli antichi fasti. Quello che rimane di una maestositá senza senso. Un monumento all’inutilità. Ci chiediamo che senso abbia avuto. Quanti soldi buttati via. Non c’era un modo migliore per rendere orgogliose Beira e l’Africa?
GianMuga
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Paola Rolletta – Expresso, Savana
Mocambique para todos
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Misna News
Mozambico
Accordi di cooperazione bilaterali nel settore dei trasporti e delle Comunicazioni sono stati firmati in questi giorni dal governo di Maputo con quelli di Zambia, Zimbabwe e Tanzania. Lo riferiscono i media mozambicani, precisando che i tre distinti accordi vertono tutti sulla cooperazione nella costruzione, sistemazione o riattivazione di vie di collegamento (viarie, ferroviarie, aeree e marittime) tra i rispettivi paesi.
www.misna.org
Accordi di cooperazione bilaterali nel settore dei trasporti e delle Comunicazioni sono stati firmati in questi giorni dal governo di Maputo con quelli di Zambia, Zimbabwe e Tanzania. Lo riferiscono i media mozambicani, precisando che i tre distinti accordi vertono tutti sulla cooperazione nella costruzione, sistemazione o riattivazione di vie di collegamento (viarie, ferroviarie, aeree e marittime) tra i rispettivi paesi.
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lunedì 10 agosto 2009
xixi no banho
Una campagna brasiliana di SOS Mata Atlantica per sensibilizzare al risparmo di acqua:
FAI PIPI' NELLA DOCCIA!!
FAI PIPI' NELLA DOCCIA!!
Madagascar - Accordi a Maputo
Due carte e quattro accordi mettono fine a crisi politica
Occupa le prime pagine di tutti i giornali l’accordo trovato Sabato e definito ieri a Maputo tra i principali esponenti della vita politica per far uscire il Madagascar da una crisi politica che ha anche portato a un isolamento internazionale. I colloqui di Maputo (capitale del Mozambico) - tra l’attuale capo dell’Alta autorità di transizione, Andry Rajoelina, il presidente da lui deposto Marc Ravalomanana, gli ex-capi di stato Didier Ratsiraka e Albert Zafy - si sono conclusi ieri dopo quattro giorni con la firma di “quattro accordi e due carte” scrive il ‘Midi Madagasikara’ fornendone i particolari.
[Leggi l'articolo su misna]
Occupa le prime pagine di tutti i giornali l’accordo trovato Sabato e definito ieri a Maputo tra i principali esponenti della vita politica per far uscire il Madagascar da una crisi politica che ha anche portato a un isolamento internazionale. I colloqui di Maputo (capitale del Mozambico) - tra l’attuale capo dell’Alta autorità di transizione, Andry Rajoelina, il presidente da lui deposto Marc Ravalomanana, gli ex-capi di stato Didier Ratsiraka e Albert Zafy - si sono conclusi ieri dopo quattro giorni con la firma di “quattro accordi e due carte” scrive il ‘Midi Madagasikara’ fornendone i particolari.
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Ponte sullo Zambezi n.2
Alcune foto fatte durante l'inaugurazione del Ponte Armando Guebuza sul fiume Zambezi.
Le foto sono gentilmente donate (spero) dagli amici di Caia: Consorzio Associazioni con il Mozambico onlus - CAM.
Le foto sono gentilmente donate (spero) dagli amici di Caia: Consorzio Associazioni con il Mozambico onlus - CAM.
martedì 4 agosto 2009
Ponte sullo Zambezi
Sabato 1 agosto 2009 e' stato inaugurato il ponte sul fiume Zambezi. Il Mozambico e' finalmente unito. Fino ad ora la traversata del fiume era possibile solo con battelli che, dalle 8 di mattina alle 5 di pomeriggio, trasportavano, oltre ai numerosi pedoni, qualche macchina e uno o due camion. Per i camionisti significava aspettare ore, a volte giorni, per quindici minuti di traversata. Adesso sara' possibile passare dall'altra parte in cinque minuti. Si puo' immaginare che enorme cambiamento per le comunicazioni e il trasporto su gomma tra il centro e il nord del Mozambico, area quest'ultima che tutt'ora risente dell'isolamento geografico rispetto al resto del paese.
Circa cinquantamila persone provenienti da tutto il Mozambico erano presenti all'inaugurazione del Ponte Armando Emilio Guebuza (lungo quasi 5 chilometri ed alto 13 metri), che lega il distretto di Caia (provincia Sofala) con la localita' di Chimuara (provincia Zambezia). L'inaugurazione e' cominciata con una cerimonia tradizionale, nella quale sono stati evocati gli spiriti degli antenati. Dopo questa prima cerimonia, il Presidente della Repubblica, Armando Guebuza, ha proseguito con il battello verso Caia, accompagnato dai rappresentanti dei paesi e organizzazioni che hanno finanziato l'opera: Giappone, Italia (20 milioni di euro), Svezia e Unione Europea. La traversata del Presidente mozambicano ha chiuso ufficialmente l'attivita' dei battelli. Una volta giunto al distretto di Caia, dopo una ulteriore cerimonia tradizionale, verso le 11.30 Guebuza, dopo il rituale taglio del nastro, ha pagato il primo pedaggio, inaugurando l'inizio della circolazione di uomini e vetture sul ponte.
www.opais.co.mz
Ministero degli Affari Esteri
mozambiconline.blogpost.com
Circa cinquantamila persone provenienti da tutto il Mozambico erano presenti all'inaugurazione del Ponte Armando Emilio Guebuza (lungo quasi 5 chilometri ed alto 13 metri), che lega il distretto di Caia (provincia Sofala) con la localita' di Chimuara (provincia Zambezia). L'inaugurazione e' cominciata con una cerimonia tradizionale, nella quale sono stati evocati gli spiriti degli antenati. Dopo questa prima cerimonia, il Presidente della Repubblica, Armando Guebuza, ha proseguito con il battello verso Caia, accompagnato dai rappresentanti dei paesi e organizzazioni che hanno finanziato l'opera: Giappone, Italia (20 milioni di euro), Svezia e Unione Europea. La traversata del Presidente mozambicano ha chiuso ufficialmente l'attivita' dei battelli. Una volta giunto al distretto di Caia, dopo una ulteriore cerimonia tradizionale, verso le 11.30 Guebuza, dopo il rituale taglio del nastro, ha pagato il primo pedaggio, inaugurando l'inizio della circolazione di uomini e vetture sul ponte.
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Ministero degli Affari Esteri
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lunedì 3 agosto 2009
Giornata panafricana della donna
Unite nella lotta allo sfruttamento.
Venerdi scorso, in diversi paesi del continente, si e' celebrata la 47esima Giornata panafricana delle donna per commemorare l’istituzione, il 31 Luglio 1962, dell’Organizzazione panafricana delle donne (Opd), nata a Dar es-Salam (Tanzania) su iniziativa di otto organizzazioni femminili in lotta per la liberazione nazionale. Un’altra celebrazione simile è stata istituita in data 25 Settembre dall’Unione Africana (UA). La donna è festeggiata dal Mali al Senegal, dal Cameroun all’Angola, con numerose iniziative su temi stabiliti dalle associazioni femminili dei vari paesi.
[continua a leggere su misna]
Dal Marocco al Sudafrica, le donne “Fanno muovere l’Africa”: è il titolo di un libro di ritratti e fotografie di 51 donne, giornaliste, sindacaliste, artiste, casalinghe impegnate nella società civile, pubblicato su iniziativa di un noto sito d’informazione africano per conoscere meglio le loro lotte quotidiane per il pane, la giustizia, la salute, l’istruzione o la pace civile. Da storie di vita si delinea un ritratto continentale della donna africana e delle sue condizioni. Dal punto di vista istituzionale, la strada da percorrere per un suo pieno riconoscimento al livello sociale è ancora lunga: solo 15 paesi hanno ratificato il Protocollo sui diritti della donna africana, adottato nel 1995 nell’ambito dell’Unione Africana.
www.misna.org
Venerdi scorso, in diversi paesi del continente, si e' celebrata la 47esima Giornata panafricana delle donna per commemorare l’istituzione, il 31 Luglio 1962, dell’Organizzazione panafricana delle donne (Opd), nata a Dar es-Salam (Tanzania) su iniziativa di otto organizzazioni femminili in lotta per la liberazione nazionale. Un’altra celebrazione simile è stata istituita in data 25 Settembre dall’Unione Africana (UA). La donna è festeggiata dal Mali al Senegal, dal Cameroun all’Angola, con numerose iniziative su temi stabiliti dalle associazioni femminili dei vari paesi.
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Dal Marocco al Sudafrica, le donne “Fanno muovere l’Africa”: è il titolo di un libro di ritratti e fotografie di 51 donne, giornaliste, sindacaliste, artiste, casalinghe impegnate nella società civile, pubblicato su iniziativa di un noto sito d’informazione africano per conoscere meglio le loro lotte quotidiane per il pane, la giustizia, la salute, l’istruzione o la pace civile. Da storie di vita si delinea un ritratto continentale della donna africana e delle sue condizioni. Dal punto di vista istituzionale, la strada da percorrere per un suo pieno riconoscimento al livello sociale è ancora lunga: solo 15 paesi hanno ratificato il Protocollo sui diritti della donna africana, adottato nel 1995 nell’ambito dell’Unione Africana.
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Artist: christiaan-art venter
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